Costume e società

A Catania il murale queer di Magiò per il collettivo Open. «È un atto politico»

«Per me avere un lavoro queer in questa città è molto importante, ma in questa zona è anche un atto politico». Si chiama Magiò, è originario di Catania, vive a Berlino e ha realizzato un murale per Open, collettivo queer legato ad Arci Catania. Il termine queer indica le persone non eterosessuali e quelle che non vogliono definire o precisare la propria identità di genere. La sede di Open si trova nella primissima parte di via Antico Corso, dove quest’arteria tocca via Plebiscito. «Sono stato qui due settimane in gonna e scarpe col tacco, alcune volte terrorizzato, altre volte molto fiero. Via Plebiscito ha la sua storia», dice l’artista a MeridioNews. Un’opera, quella di Magiò, che vuole rappresentare «un mondo queer sereno, allegro, pieno d’amore. Non volevo concentrarmi su immaginari già conosciuti, volevo qualcosa che andasse oltre la lotta».

Una lotta «contro la società patriarcale e la mascolinità tossica» che comunque l’artista porta avanti «tramite l’arte e il mio modo di vestire». L’idea di Magiò – che dal collettivo ha avuto carta bianca dal punto di vista creativo – era quella di «rappresentare la gioia attraverso lo scambio di gioielli, usando colori coccolosi, i colori pastello, che mi rappresentano». «La nostra non è una richiesta di spazio, ma un’affermazione di spazio: noi non chiediamo di essere liberi, noi siamo liberi», dice al nostro giornale Alessandro Motta, presidente di Open. «Quello del collettivo è un presidio – continua Motta – e poniamo istanze di liberazione dei corpi. L’opera di Magiò è politica e fare pratica politica queer vuol dire rendersi conto di cosa il patriarcato ha creato: una società fortemente maschilista».

Uno degli obiettivi di Open è «decostruire e deporre il maschile – dice Motta – dando così un’altra visione del mondo. Sappiamo che è un processo lungo, politico e culturale, perché serve scardinare delle stratificazioni radicate nel tempo e nella cultura». Un altro obiettivo è «raggiungere più persone possibile – continua – anche se a volte non c’è modo per sensibilizzare chi non vuole ascoltare». In questi anni però qualcosa si è mosso. «In vent’anni sono cambiate molte cose: al primo Pride di Catania c’erano 100 persone, all’ultimo erano 20mila. Un miglioramento della situazione generale c’è stato, ma ci sono ancora le aggressioni. C’è molto da fare», conclude il presidente di Open. «Io sono partito 14 anni fa: la Catania di oggi è gay ma non abbastanza queer. Però vedo che la nuova generazione queer si sta rimboccando le maniche e sta facendo molto – dice Magiò – Adesso vedo un interesse e un’apertura che dieci anni fa non esistevano».

Mauro Gemma

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