Decreto di archiviazione. Finisce così il processo di primo grado nei confronti dell’ex deputato regionale autonomista Pippo Gennuso. Il politico e imprenditore, originario di Rosolini, finì imbrigliato nelle maglie di un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia su un presunto voto di scambio con la mafia. Gennuso finì agli arresti domiciliari ad aprile 2018, quando era ancora inquilino di palazzo dei Normanni, e dovette rinunciare al seggio all’Ars. Secondo i magistrati della procura di Catania ci sarebbe stato un accordo tra Gennuso e alcuni esponenti del clan dei Crapula di Avola, legati alla cosca Trigila di Noto.
Nelle regionali del 2017 Gennuso era stato il politico più votato della sua lista in provincia di Siracusa con 6567 voti. Sotto la lente d’ingrandimento dei magistrati, in particolare, finirono i consensi raccolti nel territorio di Avola. Nelle intercettazioni alcuni degli indagati lo definivano «il nostro Santo». Alle ultime elezioni il politico non si è candidato ma ad essere eletto è stato il figlio Riccardo, inserito nella lista di Forza Italia. Entrambi sono sotto processo a Palermo con l’accusa di estorsione dopo la denuncia di tre ex dipendente della sala bingo Magic Star della Guadagna.
«Si ribadisce che l’attività captativa dimostrativa dell’attività illecita di compravendita di voti è inutilizzabile quanto al reato di corruzione elettorale continuata che, pertanto, risulta anch’esso sprovvisto di prova», scrive nel decreto la giudice per le indagini preliminari Marina Rizza, che ha archiviato la posizione anche degli altri quattro indagati che erano stati coinvolti. «Ho sempre avuto fiducia nei magistrati – dice Gennuso -. Sapevo che sarei uscito a testa alta da questa vicenda, perché nella mia vita ho sempre agito con trasparenza. Io i mafiosi li ho sempre denunciati e fatti arrestare e non conosco neppure i pentiti. Sono sempre stato consapevole della mia estraneità ai fatti che mi venivano addebitati ed oggi più che mai dico che sono rimasto vittima di una cricca. La stessa che ha tentato di screditarmi in altre vicende, soltanto per gelosie politiche. Mi duole l’ingiusta detenzione ai domiciliari ed essere stato defenestrato dall’Ars ingiustamente».
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