Antonio Ingroia, magistrato e, adesso, anche politico scomodo

Ieri, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, alcuni tra i più alti magistrati italiani hanno affermato che, forse, la presenza degli stessi magistrati nel Parlamento e, in generale, nell’agone politico, non è un toccasana.

La cosa un po’ strana è che di tale anomalia non si sono mai accorti quando i magistrati si trasferivano, armi e bagagli, prima nelle file del Pci, poi in quelle del Pds, quindi tra i Ds e adesso nel Pd. Se ne accorgono solo oggi, ed esattamente quando un magistrato di spessore come Antonio Ingroia dà vita a una nuova formazione politica – Rivoluzione Civile – alternativa al Pd, cioè al vecchio Pci, cioè al ‘Primo amore’ (quello che non si scorda mai) dei magistrati innamorati della politica, cioè ai magistrati di Magistratura democratica.

Leggiamo assieme qualche dichiarazione.

Giorgio Santacroce, presidente della Corte di Appello di Roma: “Non mi piacciono i magistrati che non si accontentano di far bene il loro lavoro, ma si propongono di redimere il mondo. Nel pieno di una campagna elettorale che si preannuncia molto combattuta non trovo nulla da eccepire sui magistrati che abbandonano la toga per candidarsi alle elezioni politiche. Candidandosi esercitano un diritto costituzionalmente garantito a tutti i cittadini. Piero Calamandrei diceva però che quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra. Come dire che i giudici, oltre che essere imparziali, devono anche apparire imparziali”.

Vito Marino Caferra, presidente della Corte d’Appello di Bari: “Non si discute della legittimità di certe scelte, ma si pone soltanto un problema di opportunità politico-istituzionale. Il caso del magistrato che, nell’esercizio delle libertà fondamentali (riconosciute ad ogni cittadino), svolge attività politica attiva pone un serio problema di credibilità non solo per il singolo magistrato, ma per l’intero ordine giudiziario. La libera stampa ha segnalato il grave fenomeno dei magistrati inquirenti che si candidano in piena concorrenza con i politici appena indagati; perché così quei magistrati inquirenti, anche per le informazioni riservate di cui sono portatori, alterano il gioco democratico dando luogo ad una sorta do concorrenza sleale nell’agone politico”.

Mario Torti, presidente della Corte d’appello di Genova: “I magistrati che, dopo aver acquisito notorietà in campo professionale, magari con esposizioni mediatiche non proprio misurate, lasciano temporaneamente la toga per questo o quel partito politico sono un’anomalia. Vanno evitate condotte che creino indebita confusione di ruoli e fomentino l’ormai intollerabile e sterile scontro tra politica e magistratura. Ciò accade quando il magistrato si propone per incarichi politici nella sede in cui svolge la sua attività, o quando esercita il diritto di critica pubblica senza tener conto che la sua posizione accentua i doveri di correttezza, compostezza e sobrietà”.

Per Giovanni Canzio, presidente della Corte d’Appello di Milano serve “equilibrio, moderazione, sobrietà e riservatezza, anche sul piano dei rapporti con i media e con la politica, rispetto e leale collaborazione con le altre istituzioni”. Secondo Canzio, coniugando potere e responsabilità l’indipendenza dei giudici sarà vista come la garanzia fondamentale dei cittadini per l’applicazione imparziale e uniforme della legge nello Stato di diritto, così “da scongiurare il rischio che la crescita esponenziale del ruolo di supplenza della magistratura nella governance, all’incrocio tra politica, economia e diritto, sposti il fondamento della legittimazione sul terreno delle pratiche del consenso sociale e popolare”.

Vincenzo Oliveri, Corte d’Appello di Palermo: “Noi magistrati dobbiamo capire che è arrivato il momento di modificare molti dei nostri atteggiamenti. La comunità nazionale e internazionale ci scruta, stigmatizzando l’enfasi mediatica che viene data a certi provvedimenti, la sovraesposizione e i protagonismi di alcuni costantemente presenti in talk show televisivi dove disquisiscono di processi in corso”.

Franco Cassano, consigliere del Csm, esponente di Magistratura democratica: “La candidatura politica del magistrato getta a ritroso un’ombra per il possibile condizionamento dell’attività giurisdizionale e dà all’opinione pubblica il dubbio sull’attività precedentemente svolta”.

Anna Canepa, vice presidente Associazione nazionale magistrati: “I magistrati politicizzati non dovrebbero esistere. I magistrati che ambiscono ad andare in politica sono magistrati che hanno una giusta aspirazione prevista dalla Costituzione. Ma quello che bisogna assolutamente evitare è l’appannarsi dell’immagine dell’indipedennza e imparzialità. Molto spesso purtroppo i magistrati che entrano in politica sono pm titolari di indagini e a nostro parere questo sovrappone le figure e appanna nei cittadini l’immagine di imparzialità del magistrato. Non dobbiamo creare nei cittadini confusione”.

Condividiamo tutte le considerazioni dei magistrati che abbiamo riportato. Solo un dubbio: come mai queste considerazioni non sono venute fuori negli anni ’70 del secolo scorso, quando una corrente della magistratura – Magistratura democratica – teorizzava un ruolo “sociale” della magistratura”, succedaneo alla stessa politica?

Chi, come noi, ha il dovere della memoria deve ricordare che ci sono stati anni, nel nostro Paese, in cui alcuni magistrati sono entrati nell’agone politico senza che, per questo, si sia levata la voce critica che si leva oggi.

Ha cominciato il vecchio Pci, negli anni ’70 del secolo passato, con Luciano Violate. Subito seguito dalla Dc con Claudio Vitalone. Poi ne sono arrivati tanti altri, in Parlamento e anche nel Governo.

Violante non arrivava da Marte, ma da un’importante Tribunale del Nord Italia. E’ stato per decenni parlamentare nazionale del Pci, presidente della commissione Antimafia e presidente della Camera dei deputati.

Anche in Sicilia abbiamo avuto magistrati eletti al Parlamento nazionale. Ed eletti proprio nella stessa Regione dove esercitavano la funzione di magistrati. Ed è anche accaduto, se non ricordiamo male, che dopo avere esercitato il ruolo di parlamentari nazionali, sono tornati ad esercitare la funzione di magistrati – requirenti e giudicanti – nella regione dove prima di essere eletti al Parlamento nazionale avevano esercitato la funzione di magistrati. Oggi questo non è più possibile, ma allora era possibile.

Sempre in Sicilia, ci sono stati anche magistrati che, oltre ad aver esercitato il ruolo di parlamentari nazionali, hanno anche esercitato altre funzioni pubbliche nei luoghi in cui risiedevano.

Oggi, di certo, è cambiata la sensibilità della stessa magistratura rispetto a certi temi. Un fatto molto positivo. Però è quanto meno particolare che un irrigidimento – che noi salutiamo sempre positivamente – sulla funzione del magistrato coincida, guarda caso, con il momento storico in cui un magistrato non allineato agli eredi del vecchio Pci – Antonio Ingroia – guidi una coalizione che rischia di fare male agli stessi eredi del vecchio Pci (che, detto per inciso, del vecchio Pci non hanno proprio nulla, avendo assunto come ‘modello’ la vecchia sinistra Dc…).

Ovviamente, è solo una casualità. Ma è una di quelle casualità che deve fare riflettere.

 

 

 


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