Cronaca

Suicidio assistito, annullata la condanna del presidente di Exit. Aveva informato sul fine vita una maestra di Paternò

Ancora un rimbalzo giudiziario. Assolto in primo grado e condannato in appello, adesso i giudici della Corte di Cassazione hanno annullato con rinvio la sentenza di condanna a tre anni e quattro mesi di carcere per Emilio Coveri. Il presidente dell’associazione Exit-Italia accusato dell’istigazione al suicidio di di Alessandra Giordano, l’insegnante 47enne di Paternò morta il 27 marzo del 2019 a Forch, paesino svizzero nel cantone di Zurigo, nella struttura Dignitas, autorizzata a praticare il suicidio assistito. «È una decisione giusta, di cui siamo molto soddisfatti – commenta a MeridioNews l’avvocata Arianna Corcelli che difende CoveriLa giustizia ha trionfato di nuovo». Nell’attesa delle motivazioni che verranno depositate, come previsto, entro novanta giorni.

La vicenda inizia quando i familiari della donna presentano un esposto e la procura apre un’inchiesta per istigazione al suicidio. L’indagato è il presidente di Exit: «Determinava o comunque rafforzava il proposito di suicidio […] – si legge nel documento del rinvio a giudizio – Intratteneva con Giordano plurimi rapporti e conversazioni telefoniche, via sms e posta elettronica dal 2017 e ininterrottamente sino al 2019; induceva Giordano, sofferente per forme depressive e sindrome di Eagle (una nevralgia facciale atipica, ndr), a iscriversi all’associazione Exit. Condotte accompagnate da sollecitazioni e argomentazioni in ordine alla legittimità, anche etica, della scelta suicidiaria». 

Coveri ha sempre negato sia l’istigazione che le sollecitazioni nei confronti della donna che avrebbe compiuto la scelta del fine vita di sua spontanea iniziativa. Tanto da contattare l’associazione e il suo presidente proprio alla ricerca di informazioni. «Alessandra non l’avevo mai vista e non la sentivo più dall’agosto del 2018», spiegava Coveri in una intervista rilasciata a MeridioNews. Precisando, peraltro, come i toni delle conversazioni e dei messaggi sarebbero sempre stati neutri. Le mail a cui si fa riferimento «sono quelle con i bollettini informativi che inviamo a tutti i soci». Una newsletter con le attività dell’associazione, le storie delle persone, le novità normative sull’argomento. Informazioni, insomma, che chiunque può facilmente reperire facendo una ricerca sul web e che Giordano aveva anche chiesto per mail direttamente alla clinica Dignitas.

Lo stesso giorno della partenza della 47enne per la Svizzera, i familiari presentano una segnalazione di allontanamento volontario che, qualche giorno dopo, viene integrata con la denuncia per istigazione al suicidio. Il fratello della donna, nel frattempo, invia una mail alla struttura svizzera con una diffida a portare a termine il suicidio assistito della sorella che, già da giorni, non risponde più né alle chiamate né ai messaggi dei parenti. Tre ore prima di morire, Alessandra Giordano parla con il fratello e «lo rassicura che era una sua libera scelta e gli chiede di accettarla». Poi manda anche un ultimo messaggio ai familiari: «Vi prego di rispettare la mia decisione, comprendo il vostro stato d’animo e mi dispiace, ma non sono in condizione di sopportare ancora dolori e sofferenze».

Marta Silvestre

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