La trattoria dei camionisti dove mangiava il pollo con i calciatori, i rigori tirati con Ciceri e Spagnolo, il diabete che lo aveva accecato senza spegnere la sua passione: fotogrammi dalla storia di un presidente tifoso, scomparso il 4 marzo 1996 sull'autostrada Catania-Palermo. Guarda le foto
Massimino, vent’anni dopo il Presidentissimo Il ricordo di alcune vecchie glorie rossazzurre
Una partita del Catania. Un uomo è seduto su una panchina, a metà strada tra il campo e la pista di atletica. Per un attimo, lo sguardo di un piccolo tifoso si stacca dal pallone e fugge altrove, come i pensieri solitari fanno. Si ferma davanti al cappotto con dentro quell’uomo: quasi cieco, ormai. E domanda al papà se è possibile avere quel posto. «Non si può – sorride il papà – lì si può sedere solo il presidente». Oggi il piccolo tifoso e suo padre hanno vent’anni in più. E l’uomo seduto su quella sedia è diventato, per tutti, il Presidentissimo: un superlativo che è stato attribuito ad Angelo Massimino solo al suo funerale. È morto a Scillato, sull’autostrada Catania-Palermo, il 4 marzo 1996. Nel ventesimo anniversario della sua scomparsa, alcune vecchie glorie rossazzurre – intervistate da MeridioNews – raccontano quali secondo loro sono stati i motivi che hanno portano i catanesi a dare a Massimino, già cavaliere del lavoro, il titolo e la poltrona di Presidentissimo. Sulla quale siede idealmente ancora adesso.
«Amava il Catania, profondamente. Lo ha difeso in ogni modo, momento e luogo. Ma tante persone non l’hanno capito», risponde Damiano Morra. Centrocampista classe ’55, di origini argentine, fu il faro dell’undici promosso in A negli spareggi di Roma, 1983. Ed è ancora oggi il rossazzurro col maggior numero di presenze: «Sono arrivato a Catania a 20 anni e sono andato via a 29. Massimino per me è stato un secondo papà». E Morra fu per lui il pupillo: «Forse perché la maglia rossazzurra me la sentivo addosso. La partita per me era una guerra. Lui l’apprezzava molto», è la spiegazione che dà il giocatore. Che ricorda pure cosa accadeva quando i risultati, in campo, erano deludenti: «Mercoledì ci portava tutti fuori Catania, a mangiare pollo in una trattoria piena di camionisti. E la domenica dopo vincevamo, sempre».
«Era una persona eccezionale. E anche il solo che tirava fuori i soldi, tanti soldi», ricorda Giovanni Gavazzi. L’ex attaccante fu tra i protagonisti della promozione in serie A datata 1970, il primo anno di presidenza Massimino. I rossazzurri la spuntarono solo all’ultima giornata, vincendo 3-1 sul campo della Reggina: «In preda alla gioia, al fischio dell’arbitro, Massimino mise le mani sul filo spinato che separava il campo dagli spalti. Ebbe un malore, fu portato negli spogliatoi e adagiato sul lettino – dice l’attaccante – Gli dissi “presidente, lei è un attore”, e ne ridemmo insieme». Una gara memorabile per tutti i protagonisti. I calciatori ottennero un cospicuo premio partita «che il presidente pagò di tasca propria», rivela l’attaccante. E pure per i tifosi quella giornata resta indimenticabile: «Allo stadio c’erano solo bandiere del Catania», conclude Gavazzi.
«Il suo amore per il Catania era irrazionale, non cercava alcun tornaconto», spiega Angelo Busetta, guida tecnica del Catania negli anni ’90. A quei tempi la salute di Massimino era già condizionata dal diabete: «Ma, nonostante tutto, era sempre presente accanto alla squadra». Durante le partite in trasferta sedeva in un’altra panchina rispetto a quella del Cibali: la stessa dalla quale Busetta dava ordini ai suoi giocatori: «Vinsi la mia gara d’esordio e lui mi abbracciò tanto forte da farmi perdere la catenina che avevo al collo». E anche durante gli allenamenti – finito il giro mattutino tra i suoi cantieri, che gli servivano per finanziare il Catania – Massimino non mancava quasi mai. Una presenza costante su cui Busetta conserva anche ricordi che risalgono a molti anni prima che lui sedesse in panchina. «Mi hanno raccontato perfino che calciava i rigori insieme a Ciceri e Spagnolo. Che tentavano di spillargli qualche soldo a ogni rete segnata».
«È stato presidente per venti anni. Vissuti per il Catania fino all’ultimo istante», racconta Melo Russo, allenatore dei rossazzurri dal 1989 al 1990. Quasi del tutto cieco, per colpa del diabete, il 4 marzo 1996 Massimino era diretto in auto, accompagnato da un nipote, alla sede della Federcalcio regionale per caldeggiare il ripescaggio in serie C1, quando ebbe l’incidente in cui perse la vita. «Era un ottimista. Mai l’ho visto scoraggiato davanti a critiche o difficoltà», aggiunge l’ex allenatore. Tre anni prima, su richiesta di Lega e Figc, il club aveva rischiato di essere radiato per inadempienze economiche. La determinazione di Massimino vinse in tribunale. Titolo sportivo e matricola furono salve, ma la squadra dovette ripartire dai dilettanti. «Si è battuto da catanese sanguigno. Un guerriero che non aveva alcun timore». Neppure di cacciare via dai suoi cantieri gli estorsori. Con la stessa energia con cui cacciava i portoghesi dalle tribune dell’allora Cibali.