Al teatro Massimo Falcone e Borsellino. L’eredità dei giusti «Importante momento di riflessione e di consapevolezza»

Anche il teatro Massimo di Palermo ricorda il trentennale della stragi mafiose di Capaci e di via D’Amelio. Domani, martedì 19 luglio, in occasione della presentazione dello spettacolo Falcone e Borsellino. L’eredità dei giusti, al teatro di Verdura per la stagione estiva sarà esposta la mostra fotografica dell’Ansa: L’eredità di Falcone e Borsellino. La mostra, realizzata dieci anni fa e ora aggiornata, con i testi dei giornalisti Francesco Nuccio e Franco Nicastro e con le immagini dell’archivio Ansa, oltre a foto inedite dell’album di famiglia dei due magistrati, è stata realizzata con il sostegno della Regione Siciliana, assessorato Pubblica istruzione. Nel corso degli anni è stata ospitata tra l’altro alla camera dei deputati, al parlamento europeo, all’Ars e nei due aeroporti internazionali di Palermo e Catania.

Lo spettacolo sui due magistrati siciliani è in programma domani, alle 21.15 ed è una coproduzione teatro Massimo di Palermo, teatro Regio di Torino, Piccolo teatro di Milano-teatro d’Europa, Fondazione per la cultura Torino MITO Settembre Musica. La rappresentazione è l’atteso epilogo della stagione di opere, concerti e spettacoli, dedicata quest’anno a commemorare il trentennale delle stragi mafiose che sconvolsero non solo il capoluogo siciliano, ma tutta la comunità italiana. Il compositore Marco Tutino è autore della musica originale, Emanuela Giordano firma la regia e la drammaturgia. Sul podio dell’orchestra e del coro dirige il maestro Alessandro Cadario tra i più carismatici giovani direttori italiani. Maestro del coro è Ciro Visco. In scena con il giovanissimo e già apprezzato soprano Maria Teresa Leva, gli attori del Piccolo teatro di Milano: Jonathan Lazzini, AnnaManella, MarcoMavaracchio, FrancescaOsso, SimoneTudda. Il video e le immagini sono a cura di Pierfrancesco Li Donni e Matteo Gherardini.

«L’assenza di istruzione e di cultura rende le persone schiave, mentre la formazione, scolastica e culturale, le rende libere – commenta Roberto Lagalla, presidente della fondazione Teatro Massimo e sindaco di Palermo  In quest’ottica – prosegue – la stagione di opere del teatro Massimo, dedicata al trentennale delle stragi, è testimonianza di una memoria che deve restare viva. Una memoria che strumenti come l’arte, la musica e il teatro di certo contribuiscono ad alimentare». «L’arte, la musica, il teatro contribuiscono al progresso civile della società, svegliano le coscienze – aggiunge Marco Betta, sovrintendente della Fondazione Teatro Massimo – l’opera di Marco Tutino è un importantissimo momento di riflessione, di consapevolezza e di opposizione trent’anni dopo le stragi, contro la violenza mafiosa».

Lo spettacolo è diviso in tre parti narrativamente e temporalmente riconoscibili: Le Stragi, La Reazione e Il Presente. Musica, immagini, canto e narrazione si intrecciano con delicatezza e intensità ai documenti video originali messi a disposizione da Rai teche, e alla drammaticità della voce di Paolo Borsellino che, dopo la morte di Giovanni Falcone, denuncia l’isolamento in cui era stato lasciato l’amico.  «Ho cercato di scrivere una musica non retorica e più complessa dal punto di vista delle dimensioni – racconta il compositore Marco Tutino – L’eredità dei giusti è un’eredità ingombrante perché ci costringe a sapere che contro l’ingiustizia, la violenza, il sopruso e l’arroganza della criminalità e della mentalità mafiosa si può lottare, si può dire no. Falcone e Borsellino lo chiedevano allora, e continuano a chiedercelo ogni volta che li ricordiamo, in pubblico e in privato: non giratevi da un’altra parte, non abbassate lo sguardo. Questo racconto per musica, canto e parole recitate è il nostro modo di ribadire la possibilità di ribellarsi, e di non dimenticare chi lo ha fatto per tutti noi». 

Con gli stessi intenti ha lavorato Emanuela Giordano, allieva di Andrea Camilleri ed Eduardo De Filippo, che ha curato la drammaturgia e la regia. «Ho agito per sottrazione – afferma – c’è il rischio che l’emozione porti a strafare, invece bisogna cercare l’essenza. Se proprio dovessimo definirlo, questo spettacolo è un oratorio sociale, un corale. E’ il tentativo di trasformare il palcoscenico in una agorà, un’immensa piazza per rievocare la collettività degli italiani. Ho cercato di fare un mosaico del paese e non una cronologia di quei fatti: questa volta siamo in scena noi, la gente comune».


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