Lo scoop di Fabrizio Gatti svela altri particolari raccapriccianti. Tra i corridoi degli obitori dell'Umberto I si particava un mercato di retine e bulbi oculari
Al policlinico rubavano gli occhi
E vaso di pandora fu. E fu che l’inchiesta coraggiosa di Fabrizio Gatti tra i corridoi claustrofobici del policlinico Umberto I di Roma – raccontata dal giornalista dell’Espresso proprio in anteprima a Step1 lo scorso 5 Gennaio – ha davvero, come molti ci avrebbero scommesso – sottratto definitivamente il tappo al turbolento “caso ospedali e igiene in Italia” liberando, così, impetuose tempeste. Il reportage del giornalista milanese, dunque, ha smosso le acque. Dopo almeno una settimana di controlli a macchia d’olio che i Nas hanno prodotto all’interno degli ospedali italiani, infatti, è di poche ore fa, la notizia che il comandante dei Nas Saverio Cotticelli, ha assegnato le maglie nere a Calabria, Lazio e Sicilia (Catania sta facendo collezione di questi trofei). Maglie che rappresentano, secondo il rapporto dei Nuclei dell’Arma, vere e proprie vergogne di scarsa pulizia, pessima organizzazione, negligenza, sciatteria e davvero drammatiche condizioni di sicurezza all’interno di alcune aziende ospedaliere delle regioni interessate.
Ma lo scoop di Gatti sta svelando nuove scoperte che giorno dopo giorno si fanno davvero sempre più inquietanti. Secondo quanto confidato da Ubaldo Montaguti, direttore generale del policlinico romano, lungo i passaggi che portano alle camere mortuarie dell’Umberto I – luoghi sempre più simili ai gironi infernali – qualcuno sottraeva alle salme vestiti, effetti personali ma soprattutto gli occhi. Sì avete capito bene, gli occhi. Un drammatico mercato nero di trapianti di cornee, praticato ai danni dei morti, con il placet, anzi, con il ruolo determinante di alcuni mrdici il cui intervento professionale risultava decisivo per espiantare il bulbo oculare e rimpiazzarlo con delle protesi di vetro perfettamente camuffate dalle palpebre, delle salme, tirate giù. Tutto questo ha portato la polizia – ha raccontato Montaguti a Gatti – ad organizzare dei presidi, a partire dal 2005, che si occupano della sicurezza negli obitori del policlinico.
La raccapricciante confessione del direttore generale dell’Umberto I fa pensare e non poco. Cosa ci è rimasto se neanche nella morte è possibile tirare il fiato? Cosa c’è di più vigliacco nel depredare i morti? Cosa di più meschino nel sottrargli la loro dignità? Rubare gli occhi ad una salma è un po’ come togliere a quell’uomo o a quella donna il suo ultimo sguardo sul mondo. Privarli dell’ultimissima immagine, del definitivo addio alla fotografia dell’umanità. Rubare gli occhi ad un morto è ucciderlo di nuovo, è graffiarlo di una violenza che non s’è meritato, è disturbarlo nel riposo faticosamente raggiunto. Sì, già, Cosa ci è rimasto? Se non si può neanche morire in pace?