Talibouya Cheiko Diba è finito al centro di un caso di cronaca. Per la polizia avrebbe preso a pugni e calci due operatori ma lui smentisce. Il 28 ottobre si aprirà il processo. A MeridioNews la sua tesi attraverso le parole dell'avvocato che lo assiste
Agenti picchiati, l’aggressore respinge le accuse «Io vittima di abuso, in manette sbattuto a terra»
Talibouya Cheiko Diba è sicuro della sua versione dei fatti e prova a respingere ogni accusa. Dice di non avere mai aggredito i poliziotti che lo avevano portato in questura per identificarlo, ma che a procurarli un taglio – curato con quattro punti di sutura – sarebbe stato proprio un agente «particolarmente aggressivo». Il caso resta aperto, con il processo che inizierà a ottobre inoltrato, e sono tanti i passaggi di questa vicenda che restano ancora poco chiari. Bisogna tornare indietro al 16 giugno, quando il 33enne senegalese finisce in manette. L’indomani, a dare la notizia è un comunicato della questura etnea, in cui Diba viene accusato di resistenza, lesioni e minacce a pubblico ufficiale. Reo di essersi avvicinato agli agenti chiamati a sedare una rissa in via Biondi, una traversa di via Sangiuliano.
Diba non sarebbe stato tra i partecipanti ma avrebbe fatto, almeno in un primo momento, da osservatore. Subito dopo, stando alla ricostruzione delle forze dell’ordine, avrebbe avvicinato gli operatori provocandoli. A questo punto l’uomo è stato condotto in questura. Quanto avvenuto all’interno è oggetto delle due versioni. Gli agenti raccontano, allegando due certificati medici con una prognosi di sei giorni, di essere stati aggrediti con pugni e calci dal 33enne. Lui, invece, spiega di essere stato ammanettato già in strada e di essere stato impossibilitato a compiere qualsiasi tipo di movimento. «Racconta di essere vittima di un abuso – riferisce a MeridioNews l’avvocato Giovanni Cavallaro – In particolare, indica un agente nei confronti del quale è intenzionato a sporgere denuncia». Stando alla sua ricostruzione, Diba sarebbe stato «sbattuto per terra mentre era in manette, con le mani dietro la schiena».
All’uomo, al pronto soccorso dell’ospedale Cannizzaro, vengono applicati quattro punti di sutura vicino all’occhio destro. Ed è nel referto d’uscita che, stando alla versione della difesa, ci sarebbe una anomalia. Perché l’uomo dalle forze dell’ordine veniva descritto come «in evidente stato d’ebrezza». I medici, però, non avrebbero effettuato nessun test per verificarlo. «Nel documento del nosocomio c’è scritto che era ubriaco secondo “quanto riferito dagli agenti”», prosegue il legale.
In vista del processo, Diba però non dovrà rispondere del reato di minaccia: «Il capo d’imputazione è caduto ed è bene specificare che il mio assistito non è stato sottoposto a nessuna misura cautelare, come d’altronde non ha nemmeno chiesto la procura». Muratore, con regolare permesso di soggiorno, e una figlia nata dalla relazione con una donna italiana, per Diba la strada non sarà certamente in discesa. Ma lui giura di non avere colpe. L’unica, se così può definirsi, sarebbe stata quella di avvicinarsi troppo mentre era in corso la rissa in via Biondi. Luogo dal quale è stato portato via prima di finire in questura.