«“Mamma, ma tu sei mafiosa?”. Me lo hanno chiesto i miei figli, un giorno, tornati da scuola». Agata Arena, 29 anni, tre bambini e un matrimonio archiviato definitivamente, giura che con il mondo della musica neomelodica ha chiuso per sempre. Niente più canzoni sul quartiere dormitorio Librino. Basta ai video con pistole finte, mitra e […]
Agata Arena, dal neomelodico alla missione per Dio: «Il mio cognome è pesante, ma non posso pagarlo ancora»
«“Mamma, ma tu sei mafiosa?”. Me lo hanno chiesto i miei figli, un giorno, tornati da scuola». Agata Arena, 29 anni, tre bambini e un matrimonio archiviato definitivamente, giura che con il mondo della musica neomelodica ha chiuso per sempre. Niente più canzoni sul quartiere dormitorio Librino. Basta ai video con pistole finte, mitra e inseguimenti modello Gomorra. Per affrontare la sua nuova vita ha scelto di trasferirsi, insieme ai genitori, a Belpasso, nel Catanese. «Adesso mi occupo di fare la missionaria di Dio e di trasmettere la sua parola – spiega con convinzione – Da Librino nemmeno voglio passarci in macchina». Quattro anni fa gli obiettivi erano altri: il sogno di sfondare nel mondo della musica, la prima canzone dal titolo Io voglio a tte, seguita da Donna d’onore e Sexy mafia. In mezzo, le polemiche per un cognome «effettivamente pesante», riconosce lei stessa, e con una storia particolare. Agata è la nipote di Giovanni Arena, boss arrestato nel 2011 dopo una latitanza durata 18 anni, quando scattò il blitz Orsa maggiore sui Santapaola. Lo zio aveva trasformato il palazzo di cemento di Librino in una centrale dello spaccio ed è nella torre di fronte, al viale San Teodoro, che è nata e cresciuta la nipote appassionata di musica. «Io non ho mai fatto un giorno di carcere nella mia vita – racconta – e lo stesso vale per mio papà Alessandro, che mi seguiva nel mio percorso artistico ed è sempre accanto a me. A mio zio, nonostante le accuse, voglio bene perché credo ci sia anche un tribunale celeste oltre a quello terreno».
Una storia familiare e un percorso musicale che hanno presto segnato la fama di Agata Arena. «Io rappresentavo nei testi soltanto quello che vedevo ogni giorno sotto casa. Arresti, inseguimenti e continui blitz delle forze dell’ordine – spiega – Mi ero creata un personaggio». Prima di chiudere con il mondo della musica neomelodica, però, è arrivata anche l’accusa di truffa ai danni dello Stato per indebita percezione del reddito di cittadinanza. Soldi che poi, secondo la polizia, sarebbero serviti per pagare le spese di pubblicazione del primo cd. Arena, secondo gli inquirenti, non aveva dichiarato di essere dipendente di un sorta di mini market, gestito dai suoi familiari a Librino. L’attività, però, come emerso durante il processo, non esisteva. «Si trattava di un garage adibito a magazzino in cui c’erano dei prodotti alimentari per il consumo familiare. Mancavano, contrariamente a quanto c’è in un negozio, i prezzi esposti, un registratore di cassa ma anche i clienti», spiega a MeridioNews l’avvocato Alfonso Abate. Il 29 novembre scorso la donna è stata assolta con formula piena «perché il fatto non sussiste» dalla giudice monocratica Elena Maria Teresa Calamita. «Ma come hanno potuto pensare che con un mese di reddito potessi pagarmi il cd?», si domanda l’ex cantante.
Nei giorni scorsi per lei è arrivata anche una seconda assoluzione, questa volta per una presunta occupazione abusiva di un alloggio al primo piano del viale Moncada 18. «Era il 2014, mi ero separata da poco e andai in quella casa insieme ai miei figli – racconta – Poi, quando arrivarono le forze dell’ordine con il proprietario, una persona che io conoscevo, sono andata via senza fare alcuna resistenza». Destino opposto, almeno sul fronte giudiziario, quello del fratello, Agatino Arena. «È un picciriddu e basta, faceva il pescatore ma per il giudice è un pusher», dice sicura la sorella. Condannato in via definitiva per spaccio di droga, dopo il verdetto della Cassazione: sette anni e sei mesi di carcere in parte già scontati, tra custodia cautelare e arresti domiciliari. A lui la donna ha dedicato la canzone Nu frat carcerat. «Sono arrivata a un punto in cui sentivo la mia vita distrutta. Domande, allusioni, forze dell’ordine a casa ma anche articoli e trasmissioni televisive – racconta – Venivo dipinta come una mafiosa perché ho un cognome pesante e per questo, secondo alcuni, dovevo pagare. Io ammetto di avere sbagliato a rappresentare quelle cose nelle mie canzoni e per questo ho chiesto scusa». E adesso? «Dal 2021 frequento un gruppo di adoratori evangelici guidati da Massimiliano Vassallo – spiega – Ci riuniamo, preghiamo e aiutiamo il prossimo. Io ero atea, non credevo in nulla. Una mattina avevo anche deciso di suicidarmi. In quel momento ho sentito una forte presenza dentro di me e ho capito che potevo riscattarmi. Oggi sono una persona completamente diversa».
Che racconta di volere una vita altrettanto diversa. «I miei figli li immagino lontani dal quartiere. Voglio farli studiare, magari andranno all’università. Ora li porto con me nella chiesa evangelica ma senza obbligarli, dovranno essere loro a scegliere cosa fare da grandi». Agata Arena con la musica, però, non ha chiuso del tutto. «Ho abbandonato il mondo neomelodico, fatto di persone false e cose brutte. Mettersi contro lo Stato non porta a nulla e io ho deciso di smettere, nonostante le richieste e il successo che avrei sicuramente raggiunto». Adesso Agata Arena vuole cantare solo per Dio. «Anche se alcuni dicono che io mi nascondo dietro il Signore… Un giorno magari mi sposerò di nuovo, ma mio marito sarà un uomo di Chiesa, un lavoratore. In futuro vorrò organizzare anche un concerto evangelico, insieme a mio padre e al mio amico Maurizio Russo. Ci saranno cavalli e una carrozza, una cosa bella. Adesso posso scrivere le mie canzoni senza paure, da donna libera e non in carcere, come qualcuno sperava».