La sua è stata una vera e propria scalata nelle gerarchie di Cosa nostra catanese. Braccio destro del boss Rosario Lombardo, prima, e reggente del gruppo mafioso dei Nizza poi. La nuova vita di Salvatore Scavone è iniziata all’inizio dello scorso anno quando ha chiesto di essere sentito dai magistrati della procura di Catania. Così il suo nome e le sue rivelazioni sono state determinante per alcune delle ultime inchieste sui Santapaola: dal blitz Sangue blu all’operazione Malerba che la scorsa settimana ha riacceso i riflettori sulle piazze di spaccio attive tra San Giovanni Galermo e Trappeto nord. In via Ustica e via Capo Passero, stando ai racconti del collaboratore, si è arrivati a contare ben 12 piazze di spaccio. A quasi tutte sarebbe stata imposta la fornitura della droga da parte dei Nizza, ma con modalità e prezzi differenti. «Una volta steccato lo stupefacente – racconto in un verbale – Gabriel Muscarà suddivideva le forniture tra i gestori delle piazze di spaccio. Dopo una settimana Cipollina (appellativo con cui si identifica Antonio Raimondo, ndr.) recuperava i soldi dai gestori e mi porta i guadagni dello spaccio».
Nei vari dialoghi intercettati sono diversi gli indagati che parlano di pop corn, indicandolo con l’appellativo con cui è conosciuto Scavone. In uno di questi Giuseppe Pistone e Simone Lizzio fanno riferimento alla gestione orario di una piazza di spaccio, indicando un turno specifico, quello dalle tre di pomeriggio all’una di notte. «Dieci ore di piazza… Camminavano forte, forte quest’estate». «Alla faccia della minchia – aggiungeva Pistone – I soldi li devono avere imbustati così». «All’epoca che succedeva: chiudevamo quarantamila euro a settimana, ventimila Salvuccio (Scavone, ndr), dieci e dieci. Lui così si è arricchito ah, Salvuccio».
Per la cocaina Scavone si sarebbe rivolto a calabresi e napoletani sborsando somme variabili tra 32mila euro e 33mila euro per ogni chilogrammo di sostanza stupefacente. A Catania, invece, avrebbe acquistato a 35mila euro al chilo ma il nome del fornitore, messo a verbale da Scavone, è coperto da un omissis. Per la marijuana e lo skunk i Nizza avrebbero fatto riferimento anche alla Spagna o «ai napoletani che la portavano direttamente a Catania». La droga poi finiva nelle piazze di spaccio con prezzi quasi raddoppiati per i gestori, ma la tariffa applicata variava in base «alla vicinanza dei soggetti con il clan». «Ad esempio in via Capo Passero – sostiene Scavone – vendevamo lo skunk a 9000 euro al chilo a Maurizio Calabretta e la cocaina a 50mila euro al chilogrammo». «In via Ustica c’è la piazza di spaccio di Melo e Mirko Ventaloro, che sono padre e figlio e si riforniscono da noi di cocaina che gli vendevamo a 60mila euro al chilogrammo».
Tra gli aneddoti di cui ha parlato Scavone c’è anche quello relativo al sistema di vedette. In diverse operazione è emerso come in via Capo Passero siano presenti delle persone, munite di radio trasmittenti, che si occupano di segnalare spostamenti e auto sospette. «C’è un sistema unico di vedette – racconta il collaboratore di giustizia – Non so chi siano e dove siano piazzati, sicuramente controllano gli ingressi di via Capo Passero e comunicano con i pusher. Tutte le piazze contribuiscono a pagare le vedette». Il racconto di Scavone non si ferma qui ma tutta la parte successiva è coperta da un omissis.
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