Alcuni dovevano pagare
una quota mensile, variabile da 100 a 1000 euro, per altri il denaro veniva sostituito dalle merce: tute all’ultima moda, panini porchetta e formaggio, fino ai casalinghi. Sarebbero stati i prodotti preferiti dai picciotti del clan Scalisi, che prendevano ma non pagavano. Ad Adrano il clan mafioso, alleato della cosca dei Laudani di Catania, avrebbe imposto per anni un pizzo a tappeto. Pasticcerie, cantieri edili, profumerie e decine di altre attività commerciali per un controllo del territorio capillare che avrebbe avuto la supervisione del boss Giuseppe Scarvaglieri, nonostante il fardello di comandare da dietro le sbarre. Qualcuno però si sarebbe rifiutato di pagare, ma le vittime non sono andate a denunciare i loro aguzzini. Nell’elenco dell’operazione Illegal duty, portata a termine della squadra mobile di Catania con 39 ordinanze di custodia cautelare, sono stati ricostruiti 22 episodi estorsivi, molti dei quali soltanto tentati.
Una delle cifre più rilevanti sarebbe stata quella imposta a un’azienda che ad Adrano si occupa della
vendita di materiale per l’agricoltura. In questo caso la somma da destinare alle casse del clan sarebbe ammontata a circa 1000 euro mensili. Ci sarebbe state però anche richieste più basse. Come quella che era costretto a subire un commerciante che gestiva una bottega con articoli per la casa. L’uomo doveva corrispondere 300 euro al mese. I pagamenti non erano sempre fissi e potevano esserci anche degli sconti, come avvenuto a una profumeria che, almeno inizialmente, versava 150 euro al mese, poi scesi a 100. A beneficiare delle riduzioni dei costi delle estorsioni sarebbe stato anche il titolare di una ditta per la vendita di materiale edile, sceso da 300 euro al mese a 200. Il metodo utilizzato dagli Scalisi ha coinvolto nei pagamenti anche una pasticceria, un negozio di prodotti ortofrutticoli, uno di scarpe, e uno di surgelati.
Non sempre però sarebbero bastati i soldi. Alcuni imprenditori locali hanno regolarizzato la loro posizione con i sodali attraverso
capi d’abbigliamento o altro. Il titolare di un negozio sportivo, per esempio, prima si è visto recapitare una bottiglia con liquido infiammabile e successivamente sarebbe stato costretto a consegnare, senza nessun pagamento, tute sportive all’ultima moda. Procedura identica per una panineria, dove ai 100 euro mensili si aggiungevano le pagnotte imbottite da consumare senza passare dalla cassa. Per essere a posto un imprenditore era costretto anche ad effettuare lavori edili gratuiti all’interno dell’abitazione di Pietro Maccarrone, conosciuto in Paese con il soprannome di Fantozzi e ritenuto uno dei più attivi nelle richieste di denaro. Nel clan c’era anche chi si occupava di estromettere alcune aziende dal mercato. Una di Paternò, specializzata nella vendita di uova, non doveva fare concorrenza a una parigrado di Adrano. E, come se non bastasse, il titolare era obbligato a versare una percentuale di denaro in base al corrispettivo delle vendite. Le telecamere sono state utili anche a ricostruire un’intimidazione ai danni di una ditta, risalente all’ottobre 2015. Nei video si vede una persona lasciare davanti il cancello una bottiglietta con liquido infiammabile.
Un capitolo a parte è quello che riguarda le
tentate estorsioni. Nell’elenco stilato dalla squadra mobile sono finiti otto episodi. In tutte le circostanze i titolari hanno deciso di non pagare ma non si sono recati dalle forze dell’ordine per denunciare. Nel mirino del clan Scalisi erano finiti un alimentari, sempre ad Adrano, un bar e un vivaio ma anche una cava. Il giro d’affari complessivo della cosca etnea non è stato quantificato, come hanno spiegato gli inquirenti, ma sarebbe comunque bastato come base per l’instaurazone di una pax mafiosa tra gli Scalisi e il clan, un tempo avversario, dei Santangelo–Taccuni, storicamente vicini alla famiglia catanese di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano.
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