Resistenza e antifascismo ad Acate significano anche continuare la battaglia di verità e giustizia per Daouda Diane. Il 37enne di origini ivoriane che dalla cittadina del Ragusano è scomparso ormai dieci mesi fa e per cui sono ancora in corso le indagini per omicidio e occultamento di cadavere. E nel registro degli indagati sono finiti i […]
Ad Acate la Resistenza è «continuare la battaglia di verità e giustizia per Daouda»
Resistenza e antifascismo ad Acate significano anche continuare la battaglia di verità e giustizia per Daouda Diane. Il 37enne di origini ivoriane che dalla cittadina del Ragusano è scomparso ormai dieci mesi fa e per cui sono ancora in corso le indagini per omicidio e occultamento di cadavere. E nel registro degli indagati sono finiti i titolari del cementificio in cui avrebbe lavorato senza contratto e alcuni loro familiari. «Alimentare la memoria storica è dovere di tutta la collettività e, oggi più che mai, i nostri territori ne hanno bisogno». È con queste parole che i responsabili dei sindacati Usb e Cus di Ragusa invitato tutto all’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno organizzato per il pomeriggio di martedì 25 aprile nel Castello Biscari di Acate. «Urge contrastare l’insorgere di neofascismi sempre più diffusi e normalizzati, urge abbattere i razzismi oramai sdoganati a livello sociale nella dimensione privata e in quella professionale, ma anche a livello istituzionale». Un’attenzione particolare è quella che i sindacati, in quella zona, riservano ai lavoratori e alle lavoratrici della fascia trasformata del territorio.
E la giornata del 25 aprile sarà anche l’occasione per continuare a lottare anche per fare luce sulla vicenda di Daouda. Prima che di lui si perdesse ogni traccia, il mediatore culturale – che si impegnava per l’associazione Medintegra che gestisce servizi di accoglienza per stranieri in un Cas – aveva girato due video e li aveva inoltrati ad alcuni familiari. Dall’interno del cementificio della Sgv Calcestruzzi Srl lamentava le condizioni di lavoro e la mancanza di garanzie e sicurezze. «Qui il lavoro è duro, qui si muore». Questa è l’ultima traccia lasciata il 2 luglio dall’uomo che, per i giorni successivi, aveva anche già acquistato un costoso biglietto aereo per tornare dalla sua famiglia in Costa d’Avorio. «Dal cantiere è andato via dopo un’ora e mezza di lavoro di pulizie, intorno a Mezzogiorno», aveva sostenuto a MeridioNews il titolare del cementificio Gianmarco Longo. Nel cantiere, però, pare che le telecamere di videosorveglianza fossero disattivate.