Ferme le indagini sul mediatore scomparso da Acate. «Nessuno lo ha visto uscire dal cementificio»

«La nostra sensazione è che si brancoli ancora nel buio». E, in effetti, il sentore che il segretario provinciale dell’Unione sindacale di base (Usb) Michele Mililli confida a MeridioNews sul caso del mediatore culturale ivoriano Daouda Diane scomparso da Acate (nel Ragusano), oramai più di sette mesi fa, sembra confermato anche da quanto emerge degli incontri fatti ieri dalla commissione regionale antimafia. Del 37enne, originario della Costa d’Avorio ma da più di otto anni residente in Italia, si sono perse le tracce nel primo pomeriggio di sabato 2 luglio del 2022. Le ultime sono due video che manda al fratello in Africa e al coinquilino ad Acate. Immagini girate all’interno di una betoniera che l’uomo sta pulendo con un martello pneumatico: «Qui il lavoro è duro, qui si muore». Sono queste le sue ultime parole. Verso le 14, il suo cellulare si spegne, subito dopo avere inviato il video nel cementificio Sgv Calcestruzzi Srl nella periferia di Acate. E sono proprio i titolari e alcuni familiari – tra cui pure un minorenne – le cinque persone finite indagate per omicidio e occultamento di cadavere. «Da lì è andato via a mezzogiorno – aveva assicurato a MeridioNews il titolare Gianmarco Longo ribadendo la loro assoluta estraneità ai fatti – Per noi si occupava da pochi giorni e saltuariamente solo di fare dei lavori di pulizia». I proprietari della ditta hanno sempre smentito che Daouda lavorasse per loro in nero, sostenendo invece che si trattasse di un lavoretto che lui stesso si sarebbe offerto di fare.

Durante la missione della commissione antimafia di ieri, il presidente Antonello Cracolici, il suo vice Ismaele La Vardera e Jose Marano hanno incontrato rappresentanti di forze dell’ordine e sindacati e i sindaci di diversi centri della provincia. Dal prefetto di Ragusa Giuseppe Ranieri alla questora Giuseppina Agnello, dal comandante provinciale dei carabinieri Carmine Rosciano a quello della Guardia di Finanza Walter Mela. È stato il procuratore Fabio D’Anna a fare il punto sulle indagini. «Purtroppo sono ferme. Non abbiamo novità di rilevo. Stiamo procedendo per varie ipotesi di reato ma non abbiamo nulla che ci faccia propendere da una parte o dall’altra». Nell’ultima traccia del cellulare di Daouda, la cella telefonica aggancia un campo molto vasto. Questo significa poteva trovarsi a casa, nei dintorni di Acate o anche all’interno del cementificio. «Da lì nessuno lo ha visto uscire e non abbiamo dati o elementi sull’orario in cui sarebbe andato via. Quello che è certo – ha sottolineato il procuratore – è che in quel cementificio ci è entrato e ha lavorato». Nessuno spunto investigativo sarebbe arrivato nemmeno dai rilievi effettuati dai Ris di Messina per tre volte all’interno del cementificio. Durante una perquisizione, nei mesi scorsi, i carabinieri del nucleo ispettorato del lavoro hanno sanzionato l’azienda per l’uso di manodopera irregolare.

«Contiamo sulla collaborazione della cittadinanza. Chi ha visto per l’ultima volta il signor Daouda – è l’appello di D’Anna – dovrebbe farsi avanti e darci degli elementi per permetterci di ricostruire la sua vicenda». Una vicenda che, sin da subito, è stata seguita da vicino dall’Usb che ha organizzato anche diverse manifestazioni per tenere alta l’attenzione. «Ai componenti della commissione antimafia abbiamo cercato di chiarire anche il contesto in cui questo caso si inserisce – racconta Mililli al nostro giornale – Li abbiamo messi al corrente dello sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori e le lavoratrici da queste parti. E abbiamo anche denunciato il silenzio totale della città, delle istituzioni e del tavolo del caporalato che non si è mai espresso sulla questione». Sono stati i rappresentati del sindacato, in questo periodo, a prendersi cura della famiglia di Daouda con una raccolta fondi con cui hanno permesso il sostentamento e anche la prosecuzione degli studi del figlio. «Almeno una volta a settima continuiamo a sentire sia la moglie che il fratello», che vivono in Costa d’Avorio e non sono ancora riusciti a venire in Sicilia. «Adesso – aggiunge il sindacalista – stiamo portando avanti l‘iter per la rappresentanza legale della famiglia. Hanno la speranza di ritrovarlo anche se oramai sempre più solo come cadavere».

Ed è la stessa sensazione che si porta a casa anche la deputata Jose Marano, dopo la tappa di ieri nel Ragusano della commissione che sta facendo un tour delle province dell’Isola per avere un quadro chiaro della situazione della criminalità organizzata. «È vero che sono ancora in campo diverse piste – dichiara a MeridioNews – ma l’impressione è che si sia trattato di un omicidio. A questo lasciano propendere i video di denuncia sulle condizioni di lavoro che sono l’ultima traccia che ha lasciato ma anche – aggiunge Marano – il fatto che non si sia presentato a prendere l’aereo per tornare in Costa d’Avorio con un biglietto già comprato da tempo per qualche giorno dopo la scomparsa». Una vicenda su cui restano ancora molte ombre. «Questo mistero non può più essere tollerato. Dobbiamo continuare a cercare la verità – ha dichiarato Cracolici – solo così questo territorio potrà essere libero». Mentre, al momento, la provincia di Ragusa resta l’unica dove convivono Stidda e Cosa nostra «e ciò condiziona la vita sociale, urbana e rurale». Nel corso delle investigazioni sulla scomparsa di Daouda è emerso che già in passato anche la famiglia titolare del cementificio era stata interessata da diverse indagini: Carmelo Longo, il padre dell’attuale amministratore della Sgv Calcestruzzi, è stato coinvolto in indagini per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla turbativa d’asta. Il fratello di Carmelo, Giovanni, è stato arrestato nel 2019 nell’ambito dell’operazione Plastic free sul clan mafioso Carbonaro-Dominante di Vittoria, in cui i magistrati della Dda ipotizzavano reati di associazione mafiosa, estorsione, detenzione armi e traffico illecito di rifiuti. Andando ancora più indietro nel tempo, nel 1990 il padre di Carmelo e Giovanni – Salvatore Longo – era stato ucciso in un agguato di stampo mafioso ad Acate. Raggiunto alla testa da diversi proiettili esplosi da un’auto dopo un inseguimento, un anno prima era riuscito a scampare a un altro agguato simile.


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