Si è tenuto giovedì, nell'aula magna di Palazzo centrale, il dibattito che, a partire dal 2 giugno '46, ha ripercorso le conquiste del movimento femminista dagli anni settanta ad oggi - A sessant'anni dal voto, le donne chiedono di più
A sessant’anni dal voto delle donne
“A sessant’anni dal voto delle donne. Cittadinanza e rappresentanza politica”, questo il titolo della tavola rotonda tenutasi presso l’aula magna di Palazzo Centrale ed organizzata dal Comitato Pari Opportunità dell’Università degli studi di Catania. Presenti all’incontro il prorettore Antonio Pioletti, che ha portato i saluti del Rettore Antonio Recca, la professoressa Rita Palidda, presidente del Comitato Pari Opportunità, la professoressa Patrizia Gabrielli, docente di storia contemporanea all’Università di Siena, il professor Pietro Barcellona, docente di Filosofia del diritto alla facoltà di Giurisprudenza di Catania, l’Onorevole Cinzia Dato e la professoressa Emma Baeri, storica del femminismo italiano.
Un incontro per discutere di donna, per parlare di femminismo e ricordare una data che ha cambiato il volto dell’Italia del Dopoguerra; 2 giungno 1946, le donne hanno accesso al voto. Per rivivere questo momento la pofessoressa Gabrielli legge qualche riga estratta da un libro di Anna Garofalo che ripercorre la lunga marcia portata avanti dalle donne dell’Italia post bellica. Il loro lavoro silenzioso di sostegno ai soldati prima e d’ impegno accanto ai partigiani dopo. La nascita delle prime organizzazioni femminili come l’UDI e la CIF, del comitato pro-voto che raccolse migliaia di firme e parlò alle giovani ragazze, alle madri, attraverso i megafoni, trasmettendo così un messaggio essenziale: il voto come possibilità di esperire “l’ idividualità personale”. Il diritto al voto sarebbe stato così il primo passo verso lo smebramento di quella cultura partiarcale che investiva la donna del solo ruolo di madre e procreatrice. Infine quella data, 2 giugno 1946, raccontata attraverso la testimonianza di alcune donne che quel giorno per la prima volta stringevano tra le mani il foglio che dava loro la possibilità di scegliere. Iniziava così la prima mobilitazione di massa di stampo femminile.
Nel ricordare il cammino delle donne italiane è inevitabile sottolineare, secondo la professoressa Palidda, i dubbi e le contraddizioni della società di oggi: ugualglianza sancita solo formalmente, paralisi della presenza femminile nei vertici più alti della società, un maschilismo di pensiero che ancora oggi fatica a sdradicarsi e non consente alla donna di esercitare in maniera completa i tre diritti fondamentali elencati da Marshall.
“La presenza femminile nei settori decisionali della società avviene grazie solo a normative elaborate ad hoc” – interviene l’Onorevole Grato – Non deve essere una battaglia di genere quanto piuttosto un problema sistemico”. Formalizzare la presenza femminile nella società d’oggi significa non riconoscere a priori una situazione di fatto. Formalizzare significa dare il permesso ad esperire qualche cosa che, in realtà, dovrebbe essere stato metabolizzato. Primo passo necessario, per l’Onorevole, è dunque riconquistare il ruolo del dibattito politico.
Ironicamente e provocatoriamente il professor Barcellona parla di un lutto da elaborare, di un funerale che giorno dopo giorno si celebra alla donna. Un’annullamento dell’essere femminile nella sua essenza, nel suo ruolo di guida ed di educatrice.
A chiudere il dibattito la professoressa Baeri, personalità fondamentale all’interno del movimento catanese e italiano fin dai primi anni Settanta, che ripercorre un po’ la storia del femminismo, distinguendone le forme e le peculiarità citando gli slogan che sottostavano alle richieste e ai credo del movomento. “Nei primi anni settanta la diversità, la differenza era un valore e non un fattore da cui liberarsi.[…] Nei secondi anni settanta l’attenzione si sposta sulla necessità di diffondere il pensiero dell’autocoscienza.” Le donne dovevano mostrare così la loro femminilità, esigere di poter controllare autonomamente il proprio corpo e conquistare la sovranità procreativa. Il discorso si sposta così su una grande conquista del movimento femminista di quegli anni: la legalizzazione dell’aborto. “L’aborto – afferma la Baeri – è una libertà che le donne dovevano conquistare come atto di liberazione dal controllo delle istituzioni del prorpio corpo. Corpo che da sempre si è cercato di controllare e su cui esercitare delle potestà. […] La diversità della dona sta nella maternità è in quel momento che è possibile distinguere l’individuo donna dalla dividua madre”.
Una diversità, dunque, che essa stessa deve gestire e controllare raggiungendo così la pienezza della persona.
Una passeggiata storica che ripercorre la lotta femminile e femminista, sottolineando ciò che è stato fatto. Tuttavia, delle antiche conquiste, oggi rimane ben poco: solo fuochi di paglia e piccole rivendicazioni di diritti di cui ogni donna dovrebbe godere. Si è fatto tanto nel passato e quasi nulla adesso. Ciò che sembra difficile da comprendere è che non è la differenza a dover essere cancellata, ma l’accettazione e il riconoscimento dell’essere donna che devono diventare un fatto non solo attraverso delle formalizzazioni ma attraverso la coscienza e la sradicalizzazione di stereotipi patriarcali che ancora oggi esistono in ogni settore della società.
Nel ricordo di quello che è stato, adesso, è necessario ritornare a chiedere ciò che alle donne spetta di diritto.