A cosa serve l’Arte

In molti si chiedono a cosa servono le cose, intendendo implicito nell’utilità di una cosa il suo motivo d’esistere e, anche, un certo profitto che abbia poi a che fare con una traduzione in termini economici della sua validità.

Così, leggendo i giornali, in questi giorni viene da chiedersi, A che serve l’Arte? A che serve la Libertà? A che serve la Scuola?

Che strano settembre questo Duemilaeotto, e che strano Paese Utile il mio. Il Ministro dei Beni Culturali sostiene che l’Arte Contemporanea è incomprensibile e che chi dice di capirne fa solo finta; il Ministro della Difesa ricorda con nostalgia il regime militare di Salò; il Ministro della Pubblica Istruzione rimpiange il maestro unico e tempestivamente lo sbaraglia dietro la cattedra. L’autunno, si sa, porta fulmini nel cielo sereno e i danni, che conseguono alle saette, non sempre sono resi noti.

Il verbo più caro alla politica dello strano Paese Utile è “tagliare”, non sulla Difesa (ché, dopo le affermazioni di cui sopra, è chiaro che ci sono tante guerre al mondo da sostenere) ma sulla Cultura. Il primo museo d’arte contemporanea a essere tagliato fuori, nel silenzio, è stato il Macro Future di Testaccio, mentre la sede storica del Macro di Roma, dopo lunghi lavori, non riaprirà in occasione della notte bianca, come previsto, con la preannunciata mostra sul concetto di felicità. Quando ho chiesto “Perché?” mi hanno risposto, “Per via dei tagli”. Tagli sulla felicità?

Questo strano settembre mi fa pensare a un altro strano settembre di dieci anni fa. Nel settembre Millenovecentonovantotto moriva Bruno Munari, un signore che gli unici tagli che sapeva erano con le forbici a punte tonde e non facevano male a nessuno. Lui, la felicità la moltiplicava con pochi gesti, come quegli origami sui cartoncini piegati dove c’è disegnato un bambino ma poi, quando li si apre, ne vengono fuori almeno dieci che si tengono per mano.

Lui, l’inventore delle Macchine Inutili, ripeteva spesso, “Un bambino creativo è un bambino felice”. Ci dobbiamo occupare dei bambini e dare loro la possibilità di formarsi una mentalità più elastica, più libera, meno bloccata, capace di decisioni. E, direi, anche un metodo per affrontare la realtà, sia come desiderio di comprensione che di espressione. Quindi, a questo scopo, vanno studiati quegli strumenti che passano sotto forma di gioco ma che, in realtà, aiutano l’uomo a liberarsi. Non potendo cambiare gli adulti, ho scelto di lavorare sui bambini perché ne crescano di migliori. È una strategia rivoluzionaria quella di lavorare sui e coi bambini come futuri uomini. “Un bambino creativo è una persona libera”.

Peccato che non tutti sono d’accordo, se solo ci fossero più bambini nei musei e più arte nelle scuole, l’Arte forse potrebbe servire a vivere meglio. 


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