La nave della Marina militare Grecale ha ormeggiato ieri al porto di Catania dopo le 19. Ha portato con sé nel suo ventre 17 salme, l’ennesimo carico di morte. Tra loro anche due bambine, una di pochi mesi e l’altra di circa due anni, e dodici donne, una delle quali incinta. I 206 superstiti sono scesi alla spicciolata, scampati ad una nuova strage del mare consumatasi lunedì a 40 miglia dalle coste della Libia. Il natante «si è capovolto ed è affondato rapidamente», ha spiegato il comandante della Grecale, Stefano Frumento. Secondo le prime allarmanti stime sarebbero stati 400 i passeggeri dell’imbarcazione. Numeri poi ridotti nella serata di ieri, come ha riferito il rappresentante della Marina, grazie all’esame del mezzo naufragato: «Di solito sono barche che portano 200-250 persone».
Per tutto il pomeriggio la folla di giornalisti ha riempito il porto etneo. La tensione è salita lentamente, seguendo l’avvicinamento della Grecale. A determinare il ritardo nell’arrivo dei migranti hanno contribuito le cattive condizioni del mare. Quando l’imbarcazione militare si è avvicinata era ormai il tramonto. I migranti sul ponte stretti negli asciugamani e nelle coperte termiche, i più piccoli al riparo, sorvegliati dagli uomini della Marina.
Nonostante i soccorsi immediati, sulla tragedia di lunedì ha pesato l’assenza dell’intervento libico. A cercare di stabilire la verità è chiamata la Procura di Catania, il cui procuratore capo Giovanni Salvi ha aperto un fascicolo per naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. Gli scafisti sarebbero stati già individuati, avrebbero cercato di mescolarsi tra gli altri passeggeri. I 206 migranti saranno ospitati al PalaCus, il palazzetto sportivo all’interno della Cittadella universitaria, in via Santa Sofia. Come ha precisato il vicesindaco Marco Consoli, anche lui presente alle operazioni di sbarco, nonostante la volontà di accogliere i migranti il sistema è al collasso.
La notizia della tragedia è corsa veloce tra container e barche del porto etneo fin dalle prime ore del mattino. «Unni l’amu a metteri, dove dobbiamo metterli», si lamenta un operaio di uno dei cantieri del porto. Sembra infastidito dal trambusto che ha sconvolto la quotidianità della struttura portuale. «Iu mi scantu do mari». Un pescatore, più rughe in viso che anni, interrompe il collega più giovane. «Faccio questo lavoro da 20 anni – racconta in dialetto – So nuotare. Ma il mare mi spaventa sempre. E di puurazzi quante ne vedono», conclude mettendo fine alla discussione.
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