Mentre continua il botta e risposta tra l'assessore al Welfare Fiorentino Trojano e Catania bene comune, rimangono i dubbi su cosa accadrà dal primo dicembre, quando il servizio comunale rivolto ai più piccoli cambierà. Nuove tariffe, «più care del 983 per cento» secondo i calcoli del movimento politico, e personale proveniente da cooperative sociali per il pomeriggio. Soluzioni che non convincono anche i cittadini che usufruiscono delle strutture
Asili nido, incertezza per lavoratori e genitori Una madre: «Si avvantaggeranno i privati»
Via Tomaselli, ore 8.15. Da un’auto in doppia fila schizza una donna con in braccio un fagotto. «Non so come faremo dal primo dicembre. Io e il mio compagno lavoriamo, non sapremmo a chi lasciare la bambina», ha il tempo di sospirare, prima di riprendere la macchina e immettersi nuovamente nel traffico. Lei è una dei tanti genitori rimasti sorpresi dalla circolare firmata dalla direzione comunale per le Politiche sociali e la famiglia e affissa agli ingressi dei 15 asili nido gestiti dall’amministrazione. Nella nota, come denunciato da Catania bene comune sabato scorso, si legge che il servizio «nella forma fino ad ora svolta, avrà termine il 30 novembre». E mentre l’assessore al Welfare Fiorentino Trojano e i membri dell’associazione politica, sostenuti anche dal Movimento 5 stelle, si scontrano a suon di comunicati stampa e tabelle, lavoratori e famiglie non sanno cosa accadrà da dicembre.
«Siamo all’oscuro – spiega un’operatrice dell’asilo Bimbi, fatine, folletti – Quello che succederà dopo non lo sappiamo. C’è chi dice che rimarremo, che verrà fatto un servizio-ponte fino alle vacanze di Natale», ma di risposte certe non c’è traccia. La struttura da gennaio non riaprirà i battenti a causa della scadenza del contratto di affitto. «I genitori hanno già fatto domanda di trasferimento nelle altre sedi, pensando che restassero aperte. Ma, dopo il documento di due giorni fa, sono un po’ scoraggiati», ammette la donna. Che non nasconde anche una certa preoccupazione per il futuro. «Di noi lavoratori, 30 verranno trasferiti ad altre mansioni. Si parla anche di esternalizzazione di qualche servizio, non faremo più il pomeriggio, quindi anche per noi cambieranno tante cose».
«I bambini non sono pacchi postali. Si devono adattare, soprattutto alle nuove maestre», afferma con decisione Elisabetta, impiegata e madre di un bimbo di due anni e mezzo e di un ragazzo di undici. «Non sarà facile – prosegue – Se fosse stato chiuso a giugno sarebbe stato diverso, avremmo avuto il tempo di fare abituare i bambini all’idea. Ma così, a metà anno, non è facile!», ribadisce. E se a farne le spese saranno i più piccoli e i loro genitori, ci sarà anche qualcuno che ne avrà un profitto. «Sicuramente saranno avvantaggiate le strutture private», sostiene Elisabetta. «Anche se gli asili nido comunali riaprissero da gennaio, a dicembre dove li mandiamo i bambini? Mio figlio lo porterò al privato per quei 22 giorni, ma lo lascerò lì, anche se dovessero riprendere». Evitare nuovi cambiamenti ai piccoli, per molte madri è essenziale. «Se a lui – dice tenendo in braccio un bimbo dai grandi occhi scuri – devono badare le cooperative, nuovi ausiliari, io lo porterò direttamente dal privato», concorda Cristina. Nell’accordo raggiunto tra l’amministrazione e i sindacati è infatti previsto l’affidamento del servizio pomeridiano a personale esterno.
Ma è anche una questione di sicurezza. I centri comunali, sostengono entrambe le donne, sono più controllati. Negli asili nido privati «ci sono anche 20 bambini per maestra; qui, per legge, ce ne deve essere una ogni cinque bambini – descrive Elisabetta – Il comunale è molto più controllato, mi sento più sicura». Per un servizio che viene definito da entrambe le donne a «un livello alto». «Finora ha funzionato bene, abbiamo una richiesta interminabile e non tutti i genitori negli anni sono stati accontentati», conferma l’operatrice. «È un lavoro che mantiene giovani, ma è quasi una missione. E il nostro dispiacere è non sapere come andrà a finire».
Al centro della disputa politica c’è anche la rimodulazione delle rette da pagare. Secondo i calcoli di Catania bene comune, «con il nuovo sistema di contribuzione chi era esente dal pagamento passerà da zero euro a 140 al mese per mezza giornata e da 24 euro a 260 per il tempo pieno con un aumento strabiliante del 983 per cento. Chi possiede un reddito tra i 500 e i 700 euro mensili – proseguono i membri – vedrà aumentare il costo dell’asilo nido del 381 per cento». Costi invariati solo per chi guadagna 2500 euro mensili, con rette da 140 euro. Ma, denunciano, «chi ha un reddito superiore ai 2600 euro mensili vedrà progressivamente ridursi il costo dell’asilo: dal risparmio del 20 per cento per chi ha un reddito di 2800 euro allo sconcertante sconto del 40 per cento per chi guadagna più di 3000 euro al mese».
Agli attacchi, l’assessore Trojano ha risposto duramente: «Voler continuare a ignorare che i bambini sono oggi negli asili nido pubblici soltanto grazie al lavoro della giunta Bianco è assolutamente pretestuoso: mentre qualcuno pensa al bene di catanesi cercando di salvare un servizio e di migliorarlo – si difende il responsabile del Welfare – altri, per un mero calcolo di misera speculazione politica, alimentano inutili polemiche cercando di sfruttare le condizioni di estremo disagio di tante famiglie». Giunge infine la rassicurazione ai genitori: «A gennaio il servizio ripartirà con modalità diverse e innovative indicate in una delibera che andrà in giunta tra pochi giorni per poi passare in Consiglio comunale».
Intanto in via Tomaselli scattano le 8.30; affidati i bambini alle operatrici, le madri e qualche papà escono trafelati. Se qualcuno può, si intrattiene per parlare di pregi e difetti dei centri privati presi in considerazione, sperando di far trovare al proprio figlio qualche compagno di classe anche nel nuovo nido. «È un incubo – conclude Cristina – Viviamo alla giornata».