«Se non ci dai i soldi sequestriamo te e la tua famiglia» Tra gli estorsori però c’è anche il cognato della vittima

«Non perdere ancora tempo a darci i soldi, altrimenti ti sequestriamo e teniamo in ostaggio la tua famiglia». È questa la minaccia più grave che un piccolo imprenditore, titolare di una società che opera nel settore del movimento terra ed è anche il proprietario di un rifornimento con bar-tabacchi a Santa Maria di Licodia (nel Catanese), ha ricevuto dai suoi estorsori. Un gruppo del quale è accusato di avere fatto parte anche il cognato (il convivente della sorella) Francesco Lombardo, che è stato il primo a essere arrestato e finire in carcere durante un blitz che MeridioNews aveva raccontato in anteprima. Pochi giorni dopo, lo hanno seguito Antonino Bua, Francesco Celeste (detto u romano), Giuseppe David Costa (detto pesciolino), i fratelli Agatino e Cristian Lo Cicero, Maurizio Montalto, Dario Scalisi e Giuseppe Viaggio. Tutti accusati di fare parte di un’articolazione del clan Mazzei nel territorio di Adrano che avrebbe agito per estorcere 100mila euro alla vittima che, però, alla fine dell’anno, è andata a denunciare tutto ai carabinieri. 

L’imprenditore ha raccontato agli inquirenti che sarebbe stato il cognato a presentargli Cristian Lo Cicero. Il 35enne, ritenuto il capo del clan, sin da subito avrebbe cominciato a chiedergli di continuo soldi per misteriosi affari. Una proposta che la vittima avrebbe sempre rifiutato. L’uomo, tuttavia, per tenerlo buono avrebbe eseguito dei lavori senza ricevere compenso (in particolare, gli scavi per costruire una piscina) e gli avrebbe anche concesso gratis la sua abitazione per l’estate e l’autunno scorsi. All’inizio di dicembre, però, arriva la prima richiesta di 100mila euro «da investire per guadagnarne altrettanti ogni mese». L’imprenditore dice di non essere interessato e, da quel giorno, vari membri del gruppo si presentano quotidianamente da lui per pressarlo con atteggiamenti minacciosi e intimidatori

Comincia così una sorta di accerchiamento: in un mese, la vittima ha ricevuto almeno una visita al giorno, in alcune giornate anche due e mai di una persona sola ma di almeno due per volta. Al deposito della ditta di movimento terra, nel rifornimento di benzina, al bar e perfino a casa la sera della vigilia di Natale all’ora di cena. Ogni volta la richiesta è sempre la stessa: «Sbrigati a darci i soldi. È urgente, ci servono perché abbiamo preso impegni con gente pesante di Catania». Oltre ai rimproveri per avere «preso la cosa troppo sottogamba», comincia un climax di minacce che vanno dalla pretesa di avere le chiavi del bar-tabacchi per prenderne la gestione all’utilizzo del magazzino e dei mezzi pesanti, fino alle «cose poco piacevoli» che avrebbero patito i suoi familiari durante il sequestro. Intanto il Natale è alle porte e il gruppo comincia anche ad avanzare la pretesa di «un regalo per i carusi (i ragazzi, ndr)». Per gli inquirenti, che nell’indagine hanno potuto ascoltare anche diverse intercettazioni telefoniche, il riferimento è agli affiliati del clan da mantenere. La sera del 24 dicembre, la vittima sente bussare alla sua porta di casa. Sono Celeste e Montalto che, prima di godersi i loro cenoni, passano a sollecitare l’imprenditore a versare la somma richiesta come «regalo di Natale». Una pretesa che la vittima avrebbe rifiutato alzando la voce e mandandoli via

La mattina di due giorni dopo, è il cognato a presentarsi al bar per ricordargli della richiesta estortiva alludendo ancora una volta a esponenti della criminalità organizzata etnea che sarebbero state coinvolte nella vicenda. Quello stesso pomeriggio, l’imprenditore viene prelevato dal rifornimento e portato a casa di Lo Cicero che gli avrebbe ribadito le minacce, in particolare quelle rivolte ai familiari. A questo punto, la vittima impaurita promette di consegnare i soldi. E così, qualche giorno dopo, il cognato si presenta al deposito accompagnato da un autista, entra nell’ufficio della ditta ed esce dopo circa 15 minuti. Ad aspettarlo, appostati là fuori, ci sono i poliziotti che durante la perquisizione gli trovano cinquemila euro in banconote di vario taglio tra le tasche dei pantaloni e quelle del giubbotto. Il «regalo di Natale» che il cognato gli aveva consegnato poco prima chiedendo di essere lasciato in pace


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