La giungla della regolamentazione delle coste siciliane Su 122 Comuni solo uno ha un piano di utilizzo approvato

In Sicilia i Comuni costieri sono 122 e tra questi soltanto San Vito Lo Capo, in provincia di Trapani, è dotato di un Pudm approvato: acronimo di Piano di utilizzo del demanio marittimo. Documento con cui si dovrebbe pianificare, a livello comunale, le modalità di utilizzo del litorale marino, sia per finalità pubbliche che private. Una regolamentazione generale che comincia nel 2005, con l’introduzione di una legge regionale che sostituisce i piani spiaggia, e che a distanza di sedici anni non ha ancora trovato uno sbocco, rischiando addirittura di rimanere lettera morta per ancora un po’ di tempo. Le coste della Sicilia intanto sono sempre più un paradiso per i privati che decidono di investire nella balneazione. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato da Legambiente negli ultimi tre anni sono state duecento le concessioni date. Numeri che portano il totale dei lidi autorizzati a oltre seicento per 425 chilometri di costa.  Così in molti Comuni trovare una spiaggia libera in cui accedere gratuitamente è quasi un’impresa.  

A un quadro già critico si aggiunge
una giungla nella gestione. La legge del 2005 vincola infatti il rilascio delle concessioni all’approvazione dei piano di utilizzo del demanio marittimo a livello comunale. Ma mentre diversi enti locali si erano attrezzati per regolamentare l’utilizzo delle spiagge predisponendo i Pudm, nel 2016 una modifica alla legge ha imposto nuovi aggiornamenti. Le ultime novità sono quelle varate nel 2020 dal governo regionale. «Fino allo scorso anno con la proroga delle concessioni imponevano comunque l’adeguamento successivo al Pudm, quando approvati,  – spiega a MeridioNews la deputata regionale del M5s Gianina Ciancio – Questo articolo però è stato abrogato da un disegno di legge dell’assessore regionale all’Ambiente e adesso chi ha una concessione non deve più adeguarsi nemmeno alle linee guida generali». 

Per ritornare a parlare in maniera concreta di
Pudm bisognerà quindi aspettare il 2033. Ossia quando scadranno concessioni in scadenza a fine 2020 che il governo centrale ha deciso di prorogare. Rinviando anche gli effetti della direttiva Bolkestein, approvata dalla Commissione europea e che prevede la messa a bando di molte concessioni. «Così si è cristallizzata per i prossimi 13 anni – continua Ciancio – una situazione che non ha mai avuto regole certe». Unica realtà a non rientrare nella giungla organizzativa è quella di San Vito Lo Capo, grazie al Pudm approvato nel 2012. Nel documento sono state individuate cinque zone con una organizzazione che tiene in considerazione diversi parametri. Dai cinque metri minimi di arenile da lasciare libero per consentire il passaggio dei bagnanti all’obbligo dell’utilizzo del legno per le strutture in elevazione. 

In tutto questo si sono aggiunte le cosiddette concessioni brevi, che hanno una durata fino a 90 giorni. Tra i più agguerriti sul tema c’è il sindaco di Cefalù Rosario Lapunzina, intervenuto ieri durante la presentazione online del rapporto di Legambiente Sicilia. «Come Comune di Cefalù cinque anni fa abbiamo incaricato un architetto per la stesura del Pudm – spiega – ma ci siamo visti cambiare più volte linee guida e le ultime prevedono prima l’approvazione in giunta e poi un benestare preventivo dalla Regione per andare in Consiglio comunale». Le concessioni brevi? «Vengono rilasciate solo con istanza e pagamento – continua – senza nessun parere e senza l’attestazione del rispetto delle norme igienico-sanitarie. Noi non siamo contro gli stabilimenti balneari ma ho chiesto alla capitaneria di Porto di verificare queste concessioni brevi. Ci sono per esempio casi in cui non hanno nemmeno il bagno come previsto dalla legge». 


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