Il genero del boss era il re dei distributori di benzina «Ha visto venti volte Gomorra, si sente Savastano»

Da un lato ci sono le porte che si aprono grazie alle parentele importanti nell’ambiente della mafia catanese e dall’altro una spiccata professionalità criminale di chi aveva trasformato la serie tv Gomorra in una sorta di testo sacro a cui ispirarsi. Un mix di ingredienti che negli anni avrebbero trasformato l’imprenditore Sergio Leonardi, 41 anni, nel «protagonista assoluto nel settore del contrabbando di prodotti petroliferi». 

Le parole sono quelle con cui lo descrive la giudice per le indagini preliminari nelle 400 pagine dell’ordinanza che ha portato al blitz Vento di scirocco. Leonardi, finito dietro le sbarre con l’accusa di associazione a delinquere, sarebbe riuscito a camminare a braccetto con la mafia grazie al matrimonio con Brigida Sciuto: figlia del padrino Pippo, detto Tigna, e nipote del suo successore Biagio

Questo spiegherebbe perché Leonardi i primi passi li avrebbe mossi proprio sotto il clan degli Sciuto, salvo poi passare sotto l’ala protettrice della cosca Mazzei e dello zio Carmelo Munzone. Lo spartiacque è l’omicidio di Sebastiano Fichera, avvenuto il 26 agosto 2008. Ammazzato dal clan di appartenenza perché in maniera autonoma si era spostato a fare affari con i rivali dei Cappello. «Io proteggevo Leonardi e tutti i figli e nipoti di Biagio Sciuto», racconta il collaboratore di giustizia Salvatore Messina agli investigatori. Il pentito è stato per anni storico affiliato e reggente, dal 2013, del clan di Salvatore Pillera di cui è anche parente avendone sposato una nipote. «Leonardi fa affari con il gasolio dal 2007 – continua il pentito – Sciuto quando io ero detenuto per proteggere la sua famiglia si affidò a Mario Maugeri del clan Mazzei». 

Dalla protezione però si sarebbe passato ad altro. A parlare è sempre il pentito: «So per certo che i Mazzei con la scusa investirono denaro nelle imprese di Leonardi». L’imprenditore etneo sarebbe stato al vertice di un rodato sistema per eludere il pagamento di Iva e accise. A emergere, in particolare, sono i collegamenti con il deposito della società Pinta Zottolo, nel territorio di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, e con Francesco Burzotta. Quest’ultimo fratello di Diego Santino «uomo d’onore della famiglia del defunto boss Mariano Agate», si legge negli atti.

Il meccanismo prevedeva l’acquisto di gasolio verde, cioè destinato ai mezzi agricoli, che poi veniva rivenduto attraverso una serie di passaggi come gasolio bianco. Quindi utilizzabile per i mezzi di trasporto. Un’operazione fondamentale nella presunta maxi truffa perché così Leonardi e soci sarebbero riusciti ad abbatte l’imposta dal 22 per cento al 10 per cento. Gli affari sarebbero andati a gonfie vele fino a quando in mezzo si mette la procura di Marsala con il sequestro della Pinta Zottolo, poi finita anche sotto la lente d’ingrandimento nell’ambito dell’inchiesta Dirty oil. È in quel momento che l’imprenditore sarebbe andato a caccia di nuovi interlocutori commerciali tra Roma e Napoli. In quella fase Leonardi però si sarebbe mosso con eccessiva autonomia, almeno secondo i boss intercettati. «I telefilm se li vede sette volte, otto volte o dieci volte. Ora si sta vedendo Gomorra – dicevano – e se lo vede dieci volte, venti volte, a tipo che lui è Savastano. Hai capito? Si prende tutti gli atteggiamenti, tutte le parole».

Da ieri i distributori nero-verdi a marchio L.B.S. sono sotto sequestro. Mentre a casa dell’imprenditore i militari del nucleo economico finanziario della guardia di finanza hanno trovato 50mila euro in contanti, orologi Rolex e una serie di diamanti


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