Franco Geremia, secondo gli atti dell'inchiesta antimafia Samael, avrebbe avuto il compito di portare avanti le pratiche con i dipendenti del municipio di Catania. Nelle carte spuntano i nomi di due persone, entrambe non indagate dalla procura etnea
I Santapaola e i contatti con gli impiegati del Comune Un incensurato curava i rapporti e gestiva documenti
Un volto pulito per non destare sospetti ma ritenuto fondamentale per infiltrarsi e gestire, per conto della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano, i rapporti con le pubbliche amministrazioni, Comune di Catania compreso. Il profilo tracciato dagli investigatori è quello di Franco Geremia, finito nei giorni scorsi in manette perché coinvolto nel blitz Samael con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. L’uomo, 59 anni, si sarebbe mosso sotto traccia raggiungendo nei corridoi degli uffici alcuni impiegati. Due sono quelli citati nelle carte dell’inchiesta, per episodi differenti, ma entrambi non risultano indagati.
Geremia, si legge nell’ordinanza, con il suo contributo «avrebbe aiutato il rafforzamento del clan». L’uomo accusato di essere vicino ai Santapaola non si sarebbe occupato solo di scartoffie e pratiche burocratiche negli uffici del Comune. Al viale Libertà di Catania, in cui aveva sede una società di cui era in parte proprietario, avrebbe in più occasioni ospitato alcuni pezzi da novanta della mafia locale. Tra loro spiccano i nomi di Antonino Tomaselli, oggi detenuto al 41bis perché ritenuto l’ultimo reggente della famiglia, e il più noto Giuseppe Enzo Mangion, figlio dello storico boss Francesco e cognato di Aldo Ercolano. Geremia a tratti sembra una sorta di segretario di Mangion, chiamato nelle intercettazioni «il dottore». Il presunto faccendiere contatta i partecipanti per le riunioni e gestisce l’agenda del boss. In un caso, per esempio, fissa l’incontro con l’allora direttore della filiale del Banco di Roma di piazza Giovanni Verga.
Geremia per i Santapaola avrebbe anche «sfruttato le proprie conoscenze negli uffici comunali». L’obiettivo sarebbe stato quello di ottenere la liquidazione dell’indennizzo per l’espropriazione di un terreno a ridosso del viale Marco Polo, a due passi dalla circonvallazione. Appezzamento di proprietà della Antoniocostruzioni srl poi trasformata in Tropical Agricola (finita sequestrata nel blitz). La cifra in ballo, che risulta non ancora liquidata, sarebbe stata di oltre 60mila euro. E per intascarsela boss e faccendieri si sarebbero attivati per cedere il credito a un terzo. In un incontro, avvenuto alla vigila di Natale 2016, insieme a Geremia e Mangion, allo stesso tavolo siedono pure Giuseppe Cesarotti e Mario Palermo. Il primo è ritenuto uno degli uomini di massima fiducia di Nitto Santapaola, mentre il secondo è un imprenditore accusato di fare il prestanome. Sul piatto finisce proprio il nodo del credito e dei documenti da farsi rilasciare al Comune per attestarlo: «Geremia si interessava della vicenda – si legge nell’ordinanza – e si recava più volte negli uffici comunali».
L’obiettivo viene raggiunto qualche mese dopo, il 29 marzo 2017. Pochi giorni prima gli inquirenti seguono un incontro tra lo stesso Geremia e un dipendente del Comune di Catania. Il primo parla, intercettato, riferendosi al documento che dovrebbe attestare la somma: «Intanto a me interessa che glielo porto, glielo faccio vedere che è pronto». Le cose si sistemano ma alla fine a quanto pare quei soldi non sono mai arrivati nelle casse del gruppo accusato di gestire il patrimonio della famiglia di Cosa nostra.
Il nome dell’azienda Tropical Agricola ricorre anche in altre occasioni, sempre riferite alla compravendita di terreni. In una di queste operazioni spunta nuovamente il nome di Geremia e il ruolo che avrebbe avuto per fare transitare una somma di denaro al duo Cesarotti-Mangion. Soldi, in questo caso, che gli inquirenti indicano come una parte residuale, versata in nero da un avvocato, rispetto a un primo pagamento. I contatti del clan con i dipendenti del Comune etneo si sarebbero allargati anche alla figura dello stesso Mangion. Che nel 2014 viene intercettato mentre parla dentro casa con un dipendente e chiede di riferire al cognato, assunto alla partecipata Pubbliservizi, di farsi riferire il domicilio di Sergio Gandolfo, storico esponente del clan Mazzei. L’obiettivo, dopo alcuni screzi e forse un pestaggio, sarebbe stato quello di evitare problemi.