Sarebbe dovuto uscire da quel carcere da uomo libero, invece l'avvocato Calantropo lo ha visto salire ammanettato su una pattuglia, senza la possibilità di incontrarlo né di parlarci. Un Cie la probabile direzione, ma neppure il legale per ora saprebbe di più
Caso Mered, dopo sentenza eritreo lascia il Pagliarelli Il difensore: «La polizia se l’è portato, ma non so dove»
«La polizia si è portato Berhe e non so dove». A meno di sette ore dalla lettura della sentenza che ha restituito la libertà a Medhanie Tesfamariam Berhe, piomba sulla storia e sul destino di quest’uomo l’ennesimo enorme punto interrogativo. Solo nel primo pomeriggio il giudice della seconda corte d’assise lo dichiarava ufficialmente vittima di un errore di persona, stabilendo che lui non è il boss della tratta Medhanie Yehdego Mered, identità sulla base della quale era stato arrestato a maggio del 2016 subendo qui a Palermo un lungo e travagliato processo per traffico di esseri umani.
Tutto cancellato, non era lui. Lo abbiamo visto l’ultima volta lasciare l’aula bunker dell’Ucciardone, dove si è tenuta l’udienza di oggi, scortato dalla polizia penitenziaria, direzione Pagliarelli, dov’è stato detenuto dalla sua estradizione a giugno 2016, per raccogliere i pochi effetti personali e uscire definitivamente di prigione da uomo libero. Il domicilio era stato già disposto. Ma pare che non sia andata affatto così.
Il suo avvocato, Michele Calantropo, sarebbe rimasto in attesa di vederlo per tutto il pomeriggio, senza esito. Fino a vederlo poi uscire e salire a bordo di una volante della polizia. «Era ammanettato, non so dove lo stiano portando. Non ho potuto comunicare con lui». Il legale ribadisce di avere presentato istanza di asilo politico per il suo assistito, rifugiato eritreo, non sa se il dispositivo della sentenza che dispone la sua scarcerazione, emesso intorno alle 15 dalla corte di assise, sia stato notificato a Berhe: «Non saprei neanche come, considerando che lui parla solo il tigrino».
La destinazione, adesso, potrebbe presumibilmente essere un Cie (centro d’identificazione ed espulsione), ma non si sa quale, persino il legale ancora non sarebbe al corrente di questa informazione. Non dovrebbe correre il rischio di rimpatrio in Eritrea, suo paese natale, col quale non sussiste alcun accordo d’espulsione. Né in Sudan, paese dove la polizia sudanese lo ha arrestato e in seguito, prima di consegnarlo alle autorità europee, lo avrebbe anche torturato, secondo i racconti dello stesso Berhe riferiti durante il processo, poiché lui di fatto non è un cittadino sudanese. In virtù della richiesta di asilo, potrebbe essere messo in condizione di andare in Svezia o in Norvegia, dove si trovano alcuni suoi famigliari.