Tutto ha inizio a Vita, piccolo Comune del Belice, dove aspetti privati e professionali si intrecciano: l'uomo inizia una relazione con una delle figlie del vecchio capomafia. Quando il re dell'eolico deve fare affari nel suo feudo non indugia a rivolgersi a lui
Chi è Francesco Isca, il «socio di fatto» di Arata-Nicastri L’imprenditore cresciuto «grazie alla vicinanza ai Crimi»
«Un muratore che è diventato imprenditore da quando ha iniziato la relazione con Anna Crimi». È il ritratto che fa di Francesco Isca il collaboratore di giustizia Nicolò Nicolosi, reo confesso dell’omicidio del pastore Salvatore Lombardo ucciso davanti a un bar di Partanna nel 2009. L’imprenditore del calcestruzzo di Calatafimi-Segesta, arrestato ad aprile con l’accusa di associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione che ha scoperchiato gli affari illeciti attorno al re dell’eolico, arriva a diventare, di fatto, socio del gruppo Arata-Nicastri. Ma come?
Tutto ha inizio a Vita, piccolo Comune del Belice con meno di duemila abitanti. È lì che vita privata e professionale di Isca si incrociano. Inizia una relazione con Anna Crimi, una delle figlie del vecchio capomafia deceduto Leonardo – detto Nanà – che, stando a quanto ricostruito da uno dei soci dell’imprenditore, «non accettò subito di buon grado la convivenza di Isca con la figlia tanto che i due ragazzi furono costretti a vivere per un periodo in Valle D’Aosta». Nel 2004 l’amore finisce ma Isca mantiene i rapporti con il resto della famiglia. E continua anche a versare alla donna una somma di denaro ogni mese. Una sorta di mantenimento non per affetto o per obbligo morale ma per dovere, perché «le spettava, Isca era cresciuto imprenditorialmente grazie alla sua vicinanza ai Crimi», dice ancora il collaboratore. A confermarlo è poi lo stesso Isca in una conversazione intercettata: «Io sono in una situazione un poco delicata, ho la famiglia Crimi n’cape e spadde (sulle spalle, ndr)».
Tramite la forza dei legami personali, Isca sarebbe riuscito quindi a espandere gli affari nel settore delle costruzioni e del commercio di calcestruzzo. Fino al salto di qualità. Quando Vito Nicastri decide di investire nella costruzione degli impianti eolici nei territori di Vita e di Calatafimi-Segesta, ovvero in quello che gli inquirenti definiscono il «feudo di Isca». Nicastri chiede e ottiene il finanziamento occulto per lo sviluppo del progetto con la promessa che anche Isca avrebbe partecipato alla spartizione dei guadagni e, con le proprie aziende, alla realizzazione dell’opera con lavori milionari. L’imprenditore viene coinvolto anche nell’acquisto fittizio della Ambra Energia Srl, società che opera nel settore delle energie rinnovabili, poi rivenduta agli Arata. Isca sarebbe stato «coinvolto a pieno titolo», come sostengono dalla Dia, negli affari di Arata e Nicastri nella duplice veste di fornitore, con commesse per diverse centinaia di migliaia di euro, delle opere edili legate alla realizzazione degli impianti eolici e di socio finanziatore occulto della Solgesta – altra società dietro cui si sarebbe mosso Nicastri – nello sviluppo degli impianti di produzione di energia da biomasse.
È Paolo Arata a spiegare che «Isca ha fatto un accordo con suo papà (riferito a Manlio Nicastri, ndr) in cui entrava come partner, diciamo, di finanziamento all’operazione per il biometano». Il consulente energetico della Lega, però, non sembra stimare particolarmente l’imprenditore trapanese. «Isca non è corretto. Lui ha visto i guai che abbiamo avuto che hanno rallentato […] e ha detto: “No cazzo, allora mi dovete restituire i soldi che ho investito“». Insomma, stando a quanto riferisce Arata senior a Nicastri junior, Isca non avrebbe voluto accettare il rischio d’impresa, dopo avere investito oltre 70mila euro. «Ancora non è chiusa, ma anche se si fosse chiusa male, ognuno ci ha rimesso i soldi che ci ha rimesso – sentenzia Arata – Non è che io ti devo dare soldi a te, non è che faccio l’imprenditore per te».
Da quanto ricostruito durante le indagini, l’intromissione di Isca avrebbe addirittura fatto vacillare il rapporto di fiducia tra gli Arata e i Nicastri. «L’impressione mia è che lui abbia fatto la cresta a tuo papà […] Nessuno in Sicilia è pagato quanto abbiamo pagato noi […] Io non so se tuo papà è scemo che ha dato i lavori a Isca perché era un suo amico o Isca gli ha tirato dietro dieci, quindicimila euro a turbina. Comunque mi ha amareggiato». Isca ha realizzato turbine mini-eoliche per la produzione di energia elettrica per un guadagno che si aggira sui 40mila euro a pezzo (per un totale che supera i 660mila euro). A un certo punto, negli Arata nasce il sospetto che Nicastri possa avere approfittato della loro buona fede per mettersi d’accordo con Isca. Quest’ultimo avrebbe praticato prezzi molto più alti rispetto a quelli di mercato per spartirne poi gli utili con il re dell’eolico. «Questo cazzo di Isca mi rompe i coglioni – aveva già detto l’ex deputato di Forza Italia a Manlio Nicastri – Mi ha fatto fare un terrazzo, mi ha preso cinquantamila euro senza farmi il preventivo, cioè la figura proprio di passare per fesso».