Cannabis, i timori della filiera dopo la Cassazione «Politica colmi lacune normative o restituisca l’Iva»

«Bisogna aspettare le motivazioni? Già, ma novanta giorni sono sufficienti a pregiudicare il futuro del nostro lavoro». Il coro che arriva dalla filiera della cannabis è unanime e segue il pronunciamento della Cassazione che, pur essendosi espressa su un caso specifico – il ricorso della procura di Macerata sul dissequestro nei confronti di un negozio di Civitanova Marche – nel giro di poche ore, ha scosso l’intero settore. Produttori, commercianti, consulenti e chiunque abbia investito in questi due anni, credendo che l’Italia si fosse aperta ai molteplici usi della pianta, da giorni fanno i conti con un grosso punto interrogativo.

«Da subito abbiamo dovuto confrontarci con le richieste dei clienti di bloccare gli ordini – racconta Fabio Pollicina di Canapa dell’Etna, che insieme ad altri quattro imprenditori ha deciso di puntare sulla terra vulcanica per coltivare e vendere la cannabis -. Ci occupiamo sia di infiorescenze che di altri derivati e, finora, siamo sempre stati certi di muoverci all’interno di ciò che è consentito dalla legge». Un pensiero simile arriva da Giuseppe Spampinato di Etnaponica. «Abbiamo investito tanto sia in termini di risorse economiche che umane – spiega – Ma, con la confusione che si è creata, il rischio è rovinare tutto. Le infiorescenze che vendiamo non hanno effetto drogante, ci sono studi scientifici che lo confermano».

A finire nel mirino è stata la legge 242 del 2016. Entrata in vigore a inizio 2017, la norma proposta dal Movimento 5 stelle – all’epoca all’opposizione – ha ottenuto il via libera dal parlamento con maggioranza di centrosinistra. «Le sezioni unite penali hanno stabilito che la commercializzazione di cannabis sativa L, e in particolare di foglie, infiorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa – si legge nell’informativa della Cassazione – non rientra nell’ambito di applicazione della legge». Andando a guardare al testo della legge, in effetti, la parola infiorescenza non compare mai. Ma la questione è tutt’altro che chiara.

«La legge esplicita chiaramente l’intento di promuovere la filiera della cannabis sativa – dichiara il titolare di un punto vendita a MeridioNews -. Inoltre il governo attuale a guida M5s-Lega ha chiarito che anche i fiori della pianta possono essere commercializzati». Il riferimento va a una circolare del maggio dello scorso anno diramata dal ministero per le Politiche agricole, guidato dal leghista Gian Marco Centinaio, in cui si legge: «Con specifico riguardo alle infiorescenze della canapa, si precisa che queste, pur non essendo citate espressamente dalla legge 242 né tra le finalità della coltura né tra i suoi possibili usi, rientrano nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo, purché tali prodotti derivino da una delle varietà ammesse, il cui contenuto di Thc non superi i livelli stabiliti dalla normativa».

Ed è attorno a questo riferimento al «florovivaismo» che ha aggrovigliato le proprie radici il convincimento per cui vendere i fiori della canapa fosse lecito. Senza soffermarsi sull’uso che, una volta a casa, ne avrebbero fatto gli acquirenti. «Collezionismo di facciata? Molti sicuramente comprano i fiori per fumarli – spiega un altro rivenditore -. Ma è un problema della legge e di certa ipocrisia tutta italiana. Però va detto che i prodotti che vendiamo non hanno effetti psicotropi. In parole più semplici non è droga. Il clamore di questi giorni rischia di creare allarmismo». Un altro punto tirato in ballo dalla Cassazione è quello degli effetti: i giudici ermellini hanno richiamato la legge 309 del 1990 – il testo unico sulla droga, quello tornato in vigore dopo la dichiarazione di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi – ricordando che è vietata la vendita di derivati della cannabis  «salvo siano in concreto privi di efficacia drogante». 

Nel pronunciamento di giovedì non si fa cenno ai limiti previsti nella legge 242, in cui si esplicita che le piante debbano avere un Thc inferiore allo 0,2 per cento per ottenere gli aiuti economici, mentre con un livello compreso tra 0,2 e 0,6 ai produttori non può essere fatto alcuna contestazione. «Se chiuderò i negozi? Non lo farò, perché sto rispettando la legge. E di ciò sto rassicurando i miei clienti – racconta un altro rivenditore -. I fiori che vendiamo hanno Thc anche inferiore allo 0,2 per cento. Le parole della Cassazione fanno riferimento a sostanze droganti». A riguardo, la tossicologia forense ha precisato che gli effetti psicotropi compaiono a partire da un quantitativo di Thc pari allo 0,5 per cento. «L’assunto è stato recepito in passato dalla stessa Cassazione, quindi, quella di giovedì pare una distorsione della normativa», dichiara a MeridioNews l’avvocato Carlo Alberto Zaina, il legale del rivenditore marchigiano.

Nell’attesa che vengano depositate le motivazioni e che la politica riprenda in mano la materia – il ministro Salvini si è già espresso ampiamente contro e ciò potrebbe condizionare, nell’ambito degli equilibri di governo, un nuovo impegno del M5s nelle sedi parlamentari -, a essere preoccupati sono i diversi anelli della filiera. «Io e mio marito Alessandro Tribulato siamo due agronomi specializzati in cannabis da fiore e, oltre a produrre nella nostra azienda, lavoriamo come consulenti per gli altri produttori – racconta Sanaz Alishahi Ghomi -. Auspicavamo che la Cassazione chiarisse alcuni vuoti della legge, mentre ha solamente paralizzato il settore delle infiorescenze. Adesso, però, pretendiamo che il parlamento discuta di queste lacune e completi la legge. Ci sono in ballo 15mila posti di lavoro e gli agricoltori che hanno investito risorse su circa 5mila ettari in tutto il Paese».

A esprimersi è anche Canapar, società canadese che ha deciso di investire in Sicilia, scegliendo Ragusa come base. «Quando si parla di canapa – dichiara Sergio Martines, Ceo di Canapar – il riferimento non è solo alla cannabis, che peraltro occupa solo una frazione del mercato, ma si parla di moltissime altre applicazioni come per esempio il fiorente mercato della cosmesi, quello della nutraceutica, quello dell’edilizia, per poi arrivare a quello importantissimo della terapeutica. Ci spiace che, a differenza del panorama europeo e mondiale di apertura al mondo della canapa, l’Italia con la sentenza della Cassazione abbia subito una battuta d’arresto».

Intanto c’è chi, davanti all’ipotesi di dover chiudere la propria attività, si chiede se lo Stato restituirà le imposte fin qui incassate. «Che ne sarà dell’Iva? Verrà data indietro oppure, anche se dovesse stabilirsi che si è trattato di attività illecita, scopriremo che allo Stato quelle somme faranno comunque comodo?».


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