Il noto avvocato, ascoltato a Caltanissetta, comincia il suo racconto dagli esordi professionali nel 1981. E nega di aver mai «intessuto rapporti corruttivi» con Silvana Saguto e il marito Lorenzo Caramma. «Se sei bravo non te lo riconoscerà mai nessuno»
Caso Saguto, in aula la versione di Cappellano Seminara «Respingo accuse infamanti che mi hanno rovinato la vita»
«Non ho mai dato soldi né promesso alcunché. Respingo assolutamente tutte queste accuse infamanti che penso non abbiano rovinato solo la mia vita». Si difende, con compostezza e dignità, l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, ascoltato oggi nell’aula bunker di Caltanissetta, nell’ambito del processo sulla presunta mala gestio dei beni confiscati, che coinvolge anche l’ex presidente delle Misure di prevenzione del tribunale di Palermo Silvana Saguto. Il suo è un racconto, sollecitato dalle domande dell’avvocato difensore Sergio Lo Monaco, che parte da lontano. Dal 1981, anno dell’inizio della sua esperienza professionale nello studio dello zio Vittorio Seminara. I suoi primi incarichi da amministratore giudiziario partono qualche anno dopo, dall’85. Da allora gestisce 55 misure di prevenzione, riepilogate in un prospetto sinottico che porta con sé in aula, «un ricordo di 30 anni di storia professionale utile in primis a me per fare delle riflessione sulla burrasca che si è abbattuta su di me e su questa storia professionale dal settembre 2015».
Ricordi lontani eppure lucidissimi, nella ricostruzione fatta dall’avvocato Cappellano Seminara. Comincia, all’inizio della sua carriera, con 35 collaboratori nel suo studio, fra tecnici, professionisti, agronomi «che ho fidelizzato anche a costo economico dei miei interventi. Lungi dalle autocelebrazioni, ma non c’erano altri studi nell’Isola che potevano gestire misure come quelle con cui si è confrontato il mio». E nel suo prestigioso curriculum ci sono anche incarichi come relatore e tutor al Dems (il dipartimento di alta specializzazione per amministratori giudiziari), l’Università di Palermo, la Cattolica di Roma, il Csm, partecipando anche a titolo gratuito alla Commissione regionale antimafia. Quando conosce Silvana Saguto e iniziano a lavorare assieme è il 2008, ma in realtà conosceva già da tempo la sua fama di «figura iconica nelle Misure di prevenzione». Il marito Lorenzo Caramma, invece, lo incontra prima, tra il 2004 e il 2005, presentato da un consulente dello studio, esattamente come ha già raccontato due settimane fa lo stesso Caramma. Anche nel suo caso, a precederlo sarebbe stata la sua fama nel campo dell’infortunistica stradale: «Il suo nome era ben conosciuto, specie in fatto di incidenti gravi con morto o feriti».
L’accusa oggi gli contesta, rispetto ai due coniugi, un rapporto fatto di favori e corruzione. In virtù del quale Cappellano Seminara avrebbe conferito incarichi all’ingegnere Caramma e in cambio la presidente Saguto avrebbe a sua volta conferito incarichi a lui come amministrare. Accusa che lui allontana con tutte le sue forze. «Non ho mai intessuto con nessuno, non è nel mio costume, rapporti corruttivi, men che meno con persone con cui non mi sarei mai sognato di pensare che qualcuno ritenesse ci potessero essere rapporti di questo genere – dice – Ho cercato di mantenere la mia vita ispirata a quei principi di onestà, fedeltà, scrupolo nel lavoro che mi ha impartito la mia famiglia e professionalmente mio zio Vittorio. E mi sono trovato sempre in condizioni di grande difficoltà nella mia professione, avendo gestito miliardi». Spiega di non avere mai fatto pagamenti in contanti, «forse sarà successo col tassista o il droghiere». E di aver messo tutto a disposizione dei finanzieri, «i conti della mia ex moglie, della mia compagna, dei miei figli, non ci può essere una traccia di alcunché, mai avuto rapporti distorti coi miei collaboratori – ribadisce l’avvocato -, ho sentito qui un carico forsennato di cose che mi preoccupano per la tenuta e la stabilità mentale delle persone, non per me, perché io non l’ho mai permesso».
Perché così tanti incarichi assegnati a lui dalla presidente Saguto? «Non era lei singolarmente, c’era un collegio con cui mi rapportavo – spiega -. Lei ci dà sicurezza, mi dicevano. Poi che lei non avesse mai fatto mistero di questa idealizzazione mia come il miglior amministratore è una cosa che talvolta mi metteva a disagio coi colleghi, ma che mi faceva piacere a livello personale, rispetto a una professione che mi ha dato tante soddisfazioni ma anche tantissimi pensieri». Niente più che un mero riconoscimento alla sua professionalità, quindi, perché «con me le società non fallivano». Le parole migliori, però, davanti ai giudici le spende per il marito dell’ex giudice: «Non lo immagino solo ingegnere – racconta -. Ha una grandissima dote, l’umiltà, ma anche la disponibilità e l’inconfutabile onestà e affidabilità, dal mio punto di vista. Per alcuni, in senso dispregiativo, nel nostro team era definito come quello che faceva il lavoro sporco, quello disponibile a qualunque ora del giorno e della notte per gestire quello che è il presidio del territorio e il presidio delle cose sequestrate». Su 55 incarichi, lui risulta come coadiutore in circa sei di questi e come tecnico in due o tre. «Il mio punto di riferimento era la squadra di un altro ingegnere e altri pochi – spiega ancora -. Questo processo, comunque, dimostra che se sei bravo non te lo riconoscerà mai nessuno. Lui faceva cose che altri coadiutori non avrebbero mai fatto. Aveva questo stile e potrei parlarne per giorni. La scelta sicuramente non era agevole, nelle misure di prevenzione possono essere nominati solo professionisti con certe qualità…io ho sempre scelto i migliori. L’amministratore giudiziario come ogni uomo è fallibile, a volte in alcune misure ho dovuto esautorare alcune figure professionali».
Non nasconde, insomma, stima e ammirazione per la figura professionale di Caramma. Per questo quei pagamenti duplicati o in eccesso che ora gli vengono contestati? La risposta è racchiusa in un’ennesima paginetta di slide che l’avvocato ha con sé. «Le attività di presidio davano luogo a una serie di anticipazioni che facevo io, venivano tutte annotate, anticipazioni su attività già svolte, come nel caso di Caramma – chiarisce -. Perché tutti i tribunali ovviamente non danno mai anticipazioni, ma intanto si devono fare i biglietti aerei per spostarsi, il carburante, il soggiorno in albergo, vitto e all’alloggio. Tutti i tribunali, a eccezione di Palermo, pagavano alla fine dell’esercizio a fine anno, alcuni non erano nelle condizione di sostenere tutta questa attività e quindi la mia scelta, soprattutto in tema di presidio, era quello di fare delle anticipazioni sul lavoro già fatto, a peso mio, sul mio denaro personale». Cioè, anticipazioni personali per la funzionalità dello studio, in sostanza. «Non ho mai usato denaro delle società o di fondi che non fossero soldi miei, tutto sempre fatturato ed erogato con bonifici. Soldi che poi mi venivano restituiti a liquidazione avvenuta. È successo in particolare con Caramma e pochi altri. Si trattava di somme che anticipavo per mettere i miei collaboratori in condizione di agire, poi il compenso veniva dato a me come amministratore giudiziario nella maggior parte dei casi».
«Nessun computo di fantasia né relazioni infondate. Ho sempre evitato le contaminazioni tra mia contabilità e quella delle amministrazioni giudiziarie. Conoscendo l’onestà di Caramma – torna a dire Seminara -, penso si sia trattato di una distrazione, le uniche fatture sbagliate che tornavano indietro erano le sue perché a un certo punto il dottor Balsamo, che se ne occupava, lo chiamava per fare i conti insieme. La differenza che rimane è di novemila euro, perché i 6.680 segnati dalla guardia di finanza come anticipazione Calcestruzzi è un errore, si riferisce a un’altra misura di prevenzione, come vanno tolti i diecimila euro che ho ricevuto per Padovani e altre trattenute, i finanzieri si sono fermati fino a un certo punto». Meri errori, dovuti anche a chi si occupava delle fatturazioni e dei bonifici. E le duplicazioni? «Un cortocircuito tra le amministrazioni giudiziarie, alcuni errori sono anche miei».
«Ritengo che tutto quello che Caramma ha fatto per noi è stato meno che pagato, l’ho verificato sul campo – torna a dire -, è sempre stato rispettoso dei limiti economici, altri tecnici hanno chiesto cifre enormi». Le discrasie sarebbero dovute per lui a diverse funzioni tra quelle della ragioniera della società e quelle di cui si occupava un’altra impiegata dello studio. Avrebbe potuto rilevare queste discrasie? «Oggi sì, che ho molto tempo per dedicarmi ad altro, non facendo quasi più nulla di quello che facevo un tempo. Ma prima del 2015 non controllavo nemmeno il mio estratto conto personale, era tutto demandato a terzi, la mia era un’attività frenetica, non lo avrei sicuramente fatto ed è dimostrato il fatto che io non ho arrecato, nemmeno con queste discrasie di circa 22-25mila euro, danni a nessuna società, non ci sono ipotesi di mal vessazioni o ipotesi di usi personali delle società». Come nega con ancora più forza la circostanza in cui, per l’accusa, avrebbe consegnato oltre 26mila euro in contanti allo stesso Caramma: «Non ho mai dato ad alcuno denaro in contante, men che meno a lui. L’unico lo do a mio figlio per la settimanina (la paghetta…ndr). Non avevo nemmeno motivo di dargliene, lui ha lavorato e io ho pagato questo lavoro con bonifico».