Ardizzone e Caleca al Cga, c’è la firma di Mattarella Il primo nel 2015 ne aveva proposto la soppressione

Adesso è ufficiale: Giovanni Ardizzone e Nino Caleca entrano a fare parte del Consiglio di giustizia amministrativa. Il passo che mancava, e che è arrivato, era la firma del decreto di nomina da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ardizzone, presidente dell’Ars fino all’ultimo giorno dell’era Crocetta, andrà alla sezione consultiva, mentre il posto di Caleca sarà nella sezione giurisdizionale. 

Ardizzone oggi ha espresso la propria soddisfazione con un post sul proprio profilo Facebook. «Il mio grazie va a chi mi consente di continuare un impegno nelle istituzioni, nel rispetto del dovere di adempiere con disciplina e onore le nuove e diverse funzioni pubbliche che mi vengono affidate», scrive l’ex deputato regionale Udc. 

Guardando indietro nel tempo, tuttavia, proprio Ardizzone si era espresso in maniera chara nei confronti dell’esistenza in Sicilia del Consiglio di giustizia amministrativa, organo di secondo livello nell’Isola che si occupa di discutere gli appelli alle sentenze del Tar. Un unicum nel panorama nazionale, dato che i residenti delle altre regioni, per fare ricorso, debbono rivolgersi direttamente al Consiglio di Stato. Era infatti il 2015, quando Ardizzone in un’audizione alla commissione parlamentare per le questioni regionali avanzò l’ipotesi di chiudere il Cga per «assicurare uniformità di giudizio in tutta Italia». Obiettivo, questo, che si sarebbe potuto raggiungere soltanto facendo in modo che anche per i siciliani fosse il Consiglio di Stato a decidere sui ricorsi in appello. Raggiunto da MeridioNews per una replica, il nuovo componente del Cga taglia corto: «Non rilascio dichiarazioni».

Nei mesi passati ad avanzare perplessità davanti alla nomina di Ardizzone e Caleca erano stati il Movimento 5 stelle e Claudio Fava (Cento passi). Per i cinquestelle, il coinvolgimento di Caleca come legale in processi importanti, ad esempio fino a qualche mese fa quello sull’ex numero di Confindustria Sicilia in cui la Regione è parte civile, nonché la vicinanza a «importanti imprenditori e politici tutt’ora in carica» non avrebbe dato garanzia di quella autonomia necessaria a chi svolge un ruolo come quello di componente di un organo di giustizia.


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