E' imputato davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il docente della facoltà di Ingegneria dell'Università di Catania accusato tre anni fa di aver falsato una perizia per far scagionare dall'accusa di omicidio due camorristi. Una vicenda che risale a dieci anni prima e riaperta dopo le testimonianze di una collaboratrice di giustizia. Un processo complesso, dove compare anche un boss campano con la stessa identica voce di un cittadino albanese
Caso Fichera, sotto processo il prof etneo Tra perizie sbagliate e colpi di scena
«Santonastaso mi disse che servivano quei soldi perché c’era un perito che lui conosceva bene e che da quel processo per omicidio Aniello Bidognetti doveva uscire assolto. Allora presi il denaro che era custodito dentro un calzino nascosto in uno scarpone da sci in uno sgabuzzino a casa. Lo misi in una busta gialla che poi consegnai a mio cognato Michele Bidognetti, che doveva poi portarlo all’avvocato». Michele Santonastaso, appunto. Inizia così la vicenda adesso davanti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Napoli che vede imputato il professore della facoltà di Ingegneria dell’Università di Catania Alberto Fichera, secondo l’accusa il perito menzionato dalla collaboratrice di giustizia Anna Carrino. Una vicenda complessa che tra colpi di scena giudiziari e boss campani con la stessa voce di cittadini albanesi va avanti ormai dal 2009. Ma che inizia ben dieci anni prima.
E’ il 1999 quando Fichera viene nominato consulente fonico dalla Corte d’Assise di Napoli. A lui spetta il compito di analizzare un’intercettazione telefonica a proposito del duplice omicidio di Enrico Ruffano e Giuseppe Consiglio. La corte è intenzionata a capire se le voci della registrazione siano proprio dei due imputati: Vincenzo Tammaro e Aniello Bidognetti, figlio di Francesco detto Cicciotto e’ mezzanotte ex braccio destro del super boss della camorra Francesco Schiavone (Sandokan) e capo dell’omonimo clan. Il perito, dopo aver analizzato le intercettazioni, conclude che no, non erano i due a discutere dell’omicidio. Che così vengono assolti.
Dieci anni dopo, però, a smentirlo è Anna Carrino, ex convivente del boss Francesco Bidognetti diventata collaboratrice di giustizia. La donna racconta ai magistrati come quella perizia di dieci anni prima fosse stata falsata. E come fosse stata lei stessa a consegnare 100mila euro al legale del figliastro attraverso il cognato Michele per comprare il silenzio del perito. I protagonisti della vicenda vengono tutti indagati. Fichera, il consulente corrotto secondo l’accusa, viene arrestato a luglio del 2009 e rilasciato sei mesi dopo. L’avvocato Michele Santonastaso, uno dei presunti corrieri del denaro, si trovava già in carcere per altri motivi così come il boss Francesco Bidognetti da cui sarebbe arrivato l’ordine di procedere alla corruzione già detenuto al 41bis. Insieme a loro viene indagato il fratello Michele Bidognetti che avrebbe preso i soldi dalla Carrino e consegnati a Santonastaso. Ed è qui che avviene uno dei colpi di scena: Michele Bidognetti sceglie il rito abbreviato e viene assolto. Manca così un pezzo alla catena di denaro che porterebbe fino a Fichera, ma il processo va avanti. Inizialmente coinvolto nell’inchiesta anche il vice questore aggiunto di Napoli Alessandro Berretta: la sua posizione verrà archiviata a novembre del 2011.
Protagonista della vicenda giudiziaria siculo-campana è anche un altro perito, Roberto Porto. All’ingegnere viene infatti affidata l’analisi della perizia effettuata da Fichera sulle voci dei due camorristi ed è in base al suo esito che il giudice decide di procedere nei confronti del docente catanese. La difesa a sua volta si rivolge ad Andrea Paoloni, direttore della sezione suoni della fondazione Ugo Bordoni che ha in licenza il software di analisi dei suoni e delle voci. L’esperto nota qualcosa di strano nell’analisi di Porto. Una incongruenza che gli verrà sottoposta nuovamente, mesi dopo, da un altro perito ancora, nominato dai difensori di un cittadino albanese, imputato in un processo completamente diverso. Accusato ancora una volta da una perizia di Porto. Le due analisi hanno valori identici. Come se la voce di Tammaro il camorrista imputato nel primo processo e morto anni fa fosse uguale a quella del cittadino albanese. «Una cosa impossibile perché due persone non possono avere gli stessi valori formanti della voce spiegava Giovanni Avila, legale di Fichera E come limpronta genetica, costituita dal dna». Il cittadino albanese viene assolto. Porto denunciato e poi assolto anche lui: il suo sarebbe stato un banale errore di copia e incolla. «Ma per noi non è così dice oggi Avila annunciando un nuovo colpo di scena e lo dimostreremo in aula a fine luglio».
[Foto di Dan4th]