Latte, nelle Madonie il prezzo è ai «minimi storici» «Protestare come i pastori sardi: tutti o nessuno»

«Il malcontento c’è anche qui a Palermo. Numerosi comitati spontanei sono sorti nelle Madonie in segno di protesta, magari in forme meno eclatanti. Ognuno cerca di fare le cose a modo suo, ma non è quella la soluzione. Si dovrebbe fare come in Sardegna: tutti o nessuno. Perché il problema esiste per ognuno di noi». Salvatore Nasello, allevatore con una solida esperienza alle spalle, ha fondato la sua azienda nelle Madonie e oggi, a 54 anni, conosce molto bene il territorio e le difficoltà che accomunano gran parte dei suoi colleghi. Le stesse, paradossalmente, che hanno fatto scattare le proteste dei pastori sardi spinti, in questi giorni, dall’esasperazione a gesti anche plateali. Un disagio, dunque, perfettamente sovrapponibile nei contenuti, ma non negli esiti. A partire dalla causa scatenante del malcontento: il divario ormai «insostenibile» tra costi e ricavi con il prezzo del latte ai minimi storici – 64-65 centesimi al netto dell’Iva, altrimenti 70 – come nel resto del Paese.

«La realtà degli allevatori nel centro Sicilia è piccola e più frammentata, non abbiamo pastori con oltre 500 pecore come accade in Sardegna» spiega Nasello che vive a Gangi ed è vicepresidente Cia per la Sicilia Occidentale. «Nelle zone delle Madonie c’è una pastorizia con aziende che, in media, allevano tra i 100 e i 150 capi. Tutte vivono grandi difficoltà, le stesse dei colleghi sardi. Anche da noi il prezzo del latte è sottopagato e non copriamo nemmeno le spese. Il comparto è in sofferenza eppure non si riesce a far fronte comune». Alcune differenze, con gli omologhi della vicina isola ci sono. Ad esempio, nelle Madonie i pastori non vivono solo dei proventi ottenuti dall’allevamento di pecore. «Qui, come sui Nebrodi, in molti all’allevamento affiancano anche la cerealicoltura». 

E, anche in questo caso, i prezzi sono molto bassi, con il grano a 17 centesimi al chilo (mentre per produrlo ne occorrono 25). «In Sardegna i pastori vivono solo di questo, è la loro unica fonte di reddito – sottolinea – Ed è chiaro che con il crollo dei prezzi, hanno reagito con decisione». Ma in Sicilia si scontano anche altre difficoltà, come la distanza delle zone dell’entroterra dalle principali città dell’Isola. «Qualsiasi cosa prodotta qui – prosegue – deve essere trasportato per centinaia di chilometri e i costi, purtroppo, sono tutti a carico nostro». Un quadro già di per sé critico, amplificato dal cattivo stato delle principali arterie stradali: «Qui tutte le vie sono interrotte perché da circa dieci anni non si fa più una manutenzione corretta». Le realtà interne siciliane, pur con tutte le difficoltà, sono riuscite a sopravvivere negli ultimi tempi grazie a fondi europei che, proprio negli ultimi due anni, sono stati azzerati. Si tratta dei bandi del Piano di sviluppo rurale (Psr) sospesi nell’ultimo biennio per il biologico e nell’ultimo anno per le indennità compensative, cioè il premio concesso agli agricoltori ma soprattutto agli allevatori che operano nelle zone montane o soggette a vincoli per compensare gli svantaggi a cui è soggetta l’attività in queste zone.

L’ultimo avviso per la misura 11 dedicata al biologico risale al 2016, aveva una dotazione di soli dieci milioni di euro ed era stato emesso per assicurare continuità alle forme di sostegno, tra la vecchia e la nuova programmazione,  a chi aveva scelto di passare dall’agricoltura o dagli allevamenti convenzionali a quelli biologici. Qualche giorno fa si è tenuto un tavolo tecnico con l’assessore regionale all’Agricoltura, Edy Bandiera, rispetto alle questioni poste dalla Cia, ma è stata ribadita «la mancata disponibilità finanziaria necessaria per emettere nuovi bandi relativi al biologico e all’indennità compensativa, a causa del fatto che, già al momento  del nostro insediamento, la dotazione finanziaria delle misura 11 e 13 era  stata interamente impegnata dal precedente governo». Una magra consolazione per gli allevatori: «Tagliando questi fondi quest’anno ne vedremo delle belle – aggiunge Nasello – Da parte nostra, il grido di protesta degli allevatori è uno solo: di questo passo ci saranno diverse aziende che chiuderanno. Dobbiamo farle sopravvivere, ci sono delle bellissime realtà e sono messe a rischio dalla mancanza di fondi».


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