Anche da Emmaus il sostegno al progetto Mediterranea «Non siamo una minoranza, prima si salva e poi si discute»

«Tantissime persone non vogliono abbandonarsi a questa deriva, allora noi dobbiamo sapere essere un riferimento». Le parole di Franco Monnicchi, presidente di Emmaus Italia, sono inequivocabili. Di fronte un clima sociale sempre più esasperato e incattivito nei confronti del fenomeno migratorio, con un’ondata razzista che dai social si è riversata nelle interazioni di ogni giorno, anche lo storico movimento a sostegno dei più poveri sceglie di prendere posizione. E lo fa appoggiando il progetto di Mediterranea – la missione che dal 04 ottobre 2018 svolge un’attività indipendente di monitoraggio, testimonianza e denuncia della condizione in cui si trovano i migranti che in assenza di soccorsi tentano di raggiungere le coste italiane dalla Libia – e attraverso un’interlocuzione costante con il mercatino solidale dell’usatosede di Emmaus a Palermo all’interno della Fiera del Mediterraneo

Un aiuto concreto, che si è svolto in due differenti modalità: fornendo alla nave Mare Jonio indumenti e calzature provenienti dalle proprie comunità (oggetti che durante il soccorso ai naufraghi costituiscono beni di prima necessità contro i rigori del clima in mare aperto), e attivando una raccolta fondi che vuole raggiungere la cifra di 25mila euro entro giugno. «Fare qualcosa per gli altri è il nostro senso di stare al mondo – dice Nicola Teresi, presidente di Emmaus Palermo – Noi non possiamo accettare che si distingua tra neri e italiani. La nostra è una resistenza alla narrazione tossica della guerra tra poveri». Ecco dunque il motivo dell’appoggio alla missione che ha a bordo una forte presenza palermitana.

«Al momento con Mediterranea abbiamo raggiunto 540mila euro (sui 700mila euro previsti …ndr)» dice Claudio Arestivo, tra i soci fondatori del progetto e noto in città per aver dato avvio al locale Moltivolti, nel cuore di Ballarò. «Un risultato incredibile se si pensa che in Italia la cultura del crowdfunding è quasi a zero. – osserva ancora Arestivo – Nessuno può sottrarsi in questo momento storico all’impegno in prima persona, e ciò vale anche per le attività commerciali. Ci diciamo spesso che siamo minoranza nel paese, ma devo dire che grazie all’esperienza di Mediterranea ho incontrato migliaia di organizzazioni che scelgono di resistere. La maggioranza è solo apparente. Noi lo diciamo sempre, prima si salvano le persone e poi si discute. E devo dire che anche sotto il profilo commerciale prendere un’identità, schierarsi, fa bene. Chi sta nel mezzo non viene premiato, chi consuma vuole poter scegliere un messaggio ben preciso anche quando acquista».

In questo senso parte della città di Palermo, almeno quella che si autodefinisce capitale dell’accoglienza, continua a remare in maniera ostinata e contraria rispetto agli umori maggioritari del Paese e al governo Lega-5stelle. Lo fa notare Alessandra Sciurba, attivista di Mediterranea. «Nella nostra nave sventola la bandiera della città – dice – Stiamo finendo gli ultimi adeguamenti e poi ripartiremo. C’è una forte urgenza, in questo momento il Mare Mediterraneo non è solo un cimitero di esseri umani ma è anche un deserto: la nave dell’ong Open Arms è bloccata al porto di Barcellona, mentre la Sea Watch 3 è bloccata a Catania. I governi fanno a gara a chi viola il diritto del mare, in modo da normalizzare l’illegalità, e invece vengono criminalizzate le navi delle ong che sono le uniche che rispettano il diritto. Sappiamo che saremo soli, in un mare che di notte è completamente nero, con le nave commerciali e i pescherecci evitano alcune rotte per non incappare nelle indagini della magistratura o nelle sanzioni dei governi».

La stretta repressiva sulle migrazioni, in ogni caso, arriva da lontano e ha diversi responsabili. «Almeno dal 2012, quando l’Europa chiude i canali di ingresso legali» afferma ancora Alessandra Sciurba. Mentre Franco Monnicchi ricorda la recente polemica del governo nazionale contro la Francia sul ruolo in Africa. «È vero che la Francia è colonialista – osserva – ma prima di sparare a caso bisognerebbe guardarsi indietro. L’Italia ad esempio è tra i maggiori esportatori di armi al mondo, e spesso i migranti scappano proprio dalle guerre che noi continuiamo ad alimentare. Anche noi italiani, dunque, abbiamo la coscienza sporca. E più in generale, il recente caso del Venezuela ce lo insegna, i regimi vengono sostenuti o attaccati dai governi a seconda dello sfruttamento che vi possono attuare». 


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