Difficoltà di accesso alla professione, precariato, la lentezza della legge sull'equo compenso. Colpa dell'istituzione che dovrebbe tutelare i giornalisti e invece non ha fatto abbastanza, sostengono in molti. Se n'è discusso a Perugia, durante il festival internazionale del giornalismo, tra favorevoli, contrari e possibilisti del compromesso. Ma, soprattutto, tra i dubbi e le paure dei giovani aspiranti
Festival del giornalismo, abolire l’Ordine? Il segretario: «Tocca ai giovani riformarlo»
Un argomento che torna sempre, anche nei dibattiti in cui non è previsto. Sembra essere il precariato dei giornalisti il filo conduttore di questa sesta edizione del Festival internazionale del Giornalismo di Perugia. Dopo il meeting d’apertura, il tema è stato di nuovo protagonista ieri della tavola rotonda sull’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti con Giancarlo Ghirra, segretario del Consiglio dell’Ordine, Alessandro Gilioli, de L’Espresso.it, Matteo Marchetti e Luca Sappino, conduttori di Ribalta su Radio Popolare Roma, Roberto Natale, presidente del sindacato dei giornalisti Fnsi, e Ciro Pellegrino, freelance e rappresentante del Coordinamento dei giornalisti precari della Campania.
Tante voci, una sola domanda: l’abolizione dell’ordine – secondo molti non più garante della professione – potrebbe migliorare la drammatica condizione del giornalismo italiano in bilico tra precariato e nuove tecnologie? Risposta negativa per Roberto Natale, la sua scomparsa «moltiplicherebbe la libertà degli editori rispetto alla sfruttamento dei giornalisti, lasciando questi ultimi privi di un organo che esiste a loro tutela». Parole simili a quelle di Ghirra: «Il problema del giornalismo italiano è il conflitto d’interessi che riguarda la stragrande maggioranza degli editori. Non dipende dall’esistenza o meno dell’ordine, quanto piuttosto alla società italiana stessa». Posizioni opposte rispetto a quella di Gilioli, unico tra i relatori a sostenere con convinzione la necessità dell’abolizione. Unica scelta possibile per una istituzione incapace di tutelare i suoi giornalisti, sostiene il cronista, come invece dichiara di fare.
A portare la questione su un piano pratico, quello vissuto tutti i giorni da migliaia di professionisti dell’informazione italiani, è Ciro Pellegrino. «Il problema non è l’intoccabilità dei giornalisti o dell’Ordine – spiega – quanto la questione economica. Se un giornalista è pagato tre euro a pezzo, è chiaro che a perdere valore è la sua professionalità, la qualità di ciò che scrive. Quando invece si è valorizzati si riesce a dare anche il doppio, il triplo». E Gilioli concorda: tanto da ricordare come il sito da lui diretto sia in Italia quello che paga di più i suoi collaboratori. «In un panorama comunicativo con un’offerta così ampia come il nostro dice si riesce a distinguersi producendo contenuti di alta qualità. Se io compro un pezzo tre o quattro euro sono il primo a non considerarlo di qualità». Posizioni che sembrano incontrarsi su quanto suggerito il giorno prima dal ministro della Giustizia Paola Severino, presente a un incontro con il presidente dell’odg, Enzo Iacopino: riformare, anziché abolire. «Candidatevi, giovani giornalisti, guidatelo e cambiatelo voi! – esorta Ghirra – Ma abolirlo sarebbe una follia».
Un invito per niente facile da cogliere e che porta con sé un altro nodo centrale per la platea: l’accesso alla professione. Oggi incastrato tra editori che difficilmente assumono praticanti – adducendo per lo più ragioni economiche – e scuole di giornalismo dai costi proibitivi. Il giornalista è un mestiere che si impara con le scuole o con le suole? Non ha dubbi Natale che propone una riforma che unifichi l’accesso alla professione uniformandolo al modello di altre professioni in Italia, come quella del medico: lo studio. A condizione che a proporlo non siano solo scuole con criteri di censo classisti, ma corsi di laurea accessibili ed equi. E soprattutto che non si tratti di scuole che propongono soltanto teoria, ma anche tanta vita di strada.
E ancora, a proposito di questioni economiche, si discute della legge sull’equo compenso. «Bisogna incalzare il Parlamento perché il sospetto è che gli editori, in forma di lobbies, stiano frenando la legge – dice Natale, invitando tutti alla collaborazione – E, allo stesso tempo, riaprire la questione del conflitto di interessi che non può considerarsi esaurita con l’uscita di Silvio Berlusconi dalla scena politica». Il dubbio, comunque, resta: tentare o rinunciare?, chiede un ventenne tra il pubblico. «Ci vogliono schiena dritta e palle quadrate – risponde Pellegrino – Sei pronto?».