Sovraffollamento, ragazzi che riposavano in lavanderia, un litro di latte per dieci persone e un Natale con gli avanzi di un panettone. Ecco cosa raccontano i testimoni negli atti dell'inchiesta Blonds sulla gestione di alcuni centri per minori non accompagnati
Sulla pelle dei migranti, il viaggio nel sistema Biondi «Dorme a terra, ha il fianco rosicchiato dalle pulci»
A vederli da fuori sembrano degli anonimi palazzi costruiti tra gli anni ’60 e ’70 lungo via Trieste, a due passi da corso Italia. Ben tenuti e con i prospetti immacolati, nell’angolo più borghese del capoluogo etneo. Palcoscenici poco appariscenti al cui interno sarebbero stati messi insieme i pezzi di «un progetto criminale» orientato a massimizzare profitti illeciti tra «umiliazioni e trascuratezze». Almeno secondo i magistrati della procura di Catania. Perché alcune di quelle stanze, sulla carta adibite a centri per minori migranti, arrivati in Italia senza genitori, sarebbero state trasformate in dei circoli dell’Inferno di dantesca memoria. Loro, i ragazzi africani non ancora 18enni, non erano gli ospiti ma i «brutti bastardi neri e porci». Quando andava meglio il dispregiativo si limitava a un modesto «pezzi di merda». Lo spaccato è quello che viene fuori dalle carte dell’inchiesta Blonds. Inglesismo, utilizzato dagli inquirenti, per identificare Pietro Marino Biondi. Un signore di 62 anni, nato a Biancavilla, che attraverso le cooperative aveva creato un piccolo impero, sparso per diverse province italiane sotto il nome di Consorzio progetto vita. Ad aiutarlo nella gestione, oltre alla ex moglie Francesca Ventimiglia, c’era Gemma Iapichello, moglie di Gaetano Azzolina, finito nei guai a causa di alcune inchieste antimafia sulla Stidda di Gela. Poi c’erano loro. I migranti, le galline dalle uova d’oro. Architravi di un meccanismo che si regge sui contributi delle istituzioni.
In via Trieste le cooperative Vivere insieme e Quadrifoglio non si sarebbero macchiate soltanto di ospitare più migranti rispetto a quelli consentiti per legge. Casi di sovraffollamento, più volte evidenziati durante le ispezioni delle autorità, con qualche ragazzo costretto a dormire a terra o in lavanderia. Particolari che appaiono secondari rispetto ad altri racconti di questa vicenda. Fatti di persone che non sarebbero riuscite a riposare per i morsi delle pulci, cure negate ma anche banchetti organizzati con gli avanzi di pranzi e cene. Uno dei problemi che aveva creato maggiore scompiglio all’interno delle stanze di via Trieste erano però i materassi e le lenzuola invasi dalle pulci. Non è un mistero e tutti ne parlavano, anche al telefono: «Un ragazzo mi ha detto che è da otto mesi che dorme a terra e non sul materasso – si legge negli atti dell’inchiesta – e mi ha fatto vedere il corpo ed era tutto rosicchiato in un fianco. Siamo andati in una stanza, hanno premuto il materasso e sono usciti tre animali grossi».
Sfogliando gli incartamenti sono i mediatori culturali, oltre a ospiti ed educatori, ad avere avuto un ruolo chiave nello scoperchiare il presunto sistema Biondi. «Alcuni minori hanno pure contratto malattie come scabbia ed epatite. Invece di essere isolati sono stati abbandonati e lasciati in mezzo agli altri». Un ex operatore nella sua testimonianza tira in ballo anche l’ex moglie di Biondi e la richiesta che le avrebbe fatto per acquistare una lavastoviglie per igienizzare forchette e coltelli: «Per risparmiare ha eliminato le stoviglie di plastica e ha imposto di riscaldare l’acqua per pulire i piatti solo con il gas evitando di usare la caldaia. Così come invitava a spegnerla dopo cinque minuti che i minori iniziavano a farsi la doccia». Capita anche, racconta un testimone, che un ragazzo della Costa d’Avorio lamenti un problema all’occhio. Il fatto sarebbe stato preso sottogamba. Fino a quando il giovane finisce in sala operatoria all’ospedale Cannizzaro. «Abbiamo saputo che il minore avrebbe potuto perdere l’utilizzo dell’occhio», spiega.
Sulla tavola dei migranti, all’interno di una struttura che ha ricevuto migliaia e migliaia di euro di sovvenzioni pubbliche, sarebbe finito di tutto. A parlare sono sempre coloro che dentro a quelle quattro mura ci lavoravano: «Ho visto consegnare cibi sconfezionati, avanzi delle loro case, yogurt aperti». Una lunga sequenza di accuse che si allungherebbero fino al periodo delle festività natalizie del 2014. «Biondi portò un panettone sbrindellato come se fosse stato azzannato da un cane. Ricordo ancora pacchi di biscotti rimasti aperti per mesi e, nonostante si facesse presente la circostanza, Ventimiglia rispondeva che era “meglio così durano di più“». Tra avanzi e minori che sarebbero stati costretti pure a cucinare da soli, ci sarebbe stata una piccola guerra del latte. Inevitabile quando in dieci bisogna dividersi un litro di bevanda. «C’erano vere e proprie baruffe per chi doveva accaparrarselo». Nei centri i problemi intestinali sarebbero stati all’ordine del giorno e per rimediarvi, stando alle accuse, ci sarebbe stata una sola soluzione: «Dicevano “gli diamo riso in bianco che non guasta mai“». Peccato però che quel riso in bianco sarebbe finito anche nei piatti di chi stava bene.
Ma come si comportavano responsabili dei centri, operatori ed educatori? Qualcuno ha raccontato come avrebbero funzionato gli ingranaggi, altri sono finiti tra gli indagati. Come Alessandro Giannone, che delle comunità di via Trieste è stato per un periodo responsabile nonostante l’assenza di una laurea. E un titolo da mediatore culturale che sarebbe stato conseguito con un corso online pur senza le adeguate conoscenze linguistiche. La moglie, Clara Favatella, è accusato di tentata estorsione aggravata. «Molti minori quando stavano per diventare maggiorenni venivano avvicinati da Biondi, o da persone di sua fiducia, che veicolano un messaggio in base al quale se vogliono avere un contratto di lavoro per il permesso di soggiorno devono sottostare ai suoi ordini». Che secondo l’accusa sarebbe significato pagare somme variabili tra 400 e 500 euro al momento della stipula del contratto. Poi ci sarebbe stata una nuova vita? Non secondo un testimone. Leggendo il suo verbale il quadro che emerge è chiaro: «Vengono trattati più da schiavi che da lavoratori. Ricordo anche che molti di loro venivano fatti lavorare nelle case di riposo a lui riconducibili».