Girgenti Acque, i motivi dell’interdittiva ai Campione Dai contatti con mafiosi alle accuse di inquinamento

Un potere economico che sarebbe stato costruito grazie anche a una spregiudicatezza imprenditoriale, che non avrebbe escluso la possibilità di intrattenere a più riprese rapporti con figure ritenute interne o contigue alla mafia. Nella relazione firmata dal prefetto di Agrigento, Dario Caputo, con cui è stata disposta l’interdittiva antimafia per Girgenti Acque, si ripercorre parte dell’ascesa della famiglia Campione e, in particolar modo, di Marco, il quarto di cinque fratelli. 

Il 57enne imprenditore, finito nel corso degli anni più volte al centro delle cronache giudiziarie, uscendone spesso indenne, è presidente e amministratore delegato della società costituita nel 2007, anno in cui Girgenti Acque – le cui quote sono oggi detenute per il 51,85 per cento da due imprese direttamente riconducibili alla famiglia, la Campione Industries spa e la Giuseppe Campione spa – ottiene la concessione della gestione del servizio idrico in 27 Comuni su 43 della provincia. Dalla potabilizzazione all’erogazione, fino alla depurazione dei reflui. Una concessione che sulla carta dovrebbe scadere nel 2037, ma che da anni è criticata, al punto che l’Assemblea territoriale idrica – formata dai sindaci e presieduta dalla prima cittadina di Sciacca, Francesca Valenti – in primavera ha avviato il percorso che potrebbe portare alla risoluzione del contratto per inadempienze. Tuttavia a spingere la prefettura a disporre il provvedimento non sono solo i rilievi sulla qualità del servizio, che in più di un caso hanno portato all’apertura di inchieste da parte della magistratura, bensì il quadro d’insieme che viene fuori ripercorrendo le fortune dei Campione. A partire dal componente più in vista.

Sul conto di Marco Campione vengono ricordate alcune sentenze giudicate «significative sul piano del rapporto con l’amministrazione pubblica». Nel 2004 e poi nel 2006, l’imprenditore viene condannato in primo e secondo grado nell’ambito del processo nato dall’operazione antimafia Ombra, per avere negato il pagamento di 50 milioni di lire a titolo di estorsione. Il tutto, secondo l’accusa, con l’intento di favorire i clan. La sentenza viene annullata nel 2007 dalla Cassazione, con rinvio alla corte d’Appello. «Nulla si conosce di eventuali ulteriori definizioni», si specifica nel documento in merito alla conclusione di quella vicenda. Nel 2011, invece, per Campione arriva una condanna definitiva a dieci mesi, con sospensione della pena, per falso ideologico e truffa in concorso. I procedimenti più pesanti riguardano però il recentissimo passato e sono ancora aperti: a gennaio di quest’anno, viene notificato a Campione un avviso di garanzia per associazione a delinquere, corruzione, frode nelle pubbliche forniture, truffa, inquinamento ambientale e ricettazione. Si tratta dell’inchiesta che coinvolge una lunghissima serie di figure eccellenti, appartenenti al mondo della politica e delle istituzioni: dall’ex prefetto Nicola Diomede, trasferito da Agrigento dopo la notizia dell’indagine, all’ex governatore Raffaele Lombardo, fino ad arrivare al padre dell’ex ministro Angelino Alfano. Pochi mesi dopo, Campione viene coinvolto nell’inchiesta sulla discarica di Camastra, dove è accusato di avere smaltito – così come tante altre imprese importanti anche sul panorama nazionale – rifiuti, nella fattispecie fanghi, in maniera illecita. Risale invece alla settimana scorsa il rinvio a giudizio per l’inquinamento che sarebbe stato causato nella frazione agrigentina di San Leone

Le osservazioni del prefetto riguardano anche le frequentazioni avute nel tempo da Campione. Molte delle quali legate al mondo degli affari. È il caso, per esempio, di Vincenzo Licata, killer della mafia condannato all’ergastolo, con cui il numero uno di Girgenti Acque avrebbe avuto a che fare, a fine anni Novanta, in occasione dei lavori per la realizzazione della rete fognaria a Canicattì. In occasione di lavori simili svolti, negli stessi anni, a Licata da Impresem – ditta di cui Campione era socio – l’imprenditore sarebbe entrato in contatto invece con i capimafia Pasquale e Vincenzo Cardella. Ed è a proposito di Impresem che nel documento prefettizio si apre una finestra sul passato, in particolar modo sugli intrecci che si sarebbero creati tra Campione, Pietro Di Vincenzo e Filippo Salomone, entrambi ritenuti contigui alla criminalità organizzata, con il secondo che sarebbe stato uno dei principali ideatori del cosiddetto tavolino, il sistema di spartizione attraverso cui Cosa nostra avrebbe gestito gli appalti pubblici in Sicilia per anni: Campione, tra il 1996 e il 2003, è passato dall’essere socio di Impresem – all’epoca controllata da Tecnofin, di proprietà per il 50 per cento di Salomone e per la restante metà di Di Vincenzo – a detenere il 75 per cento di Tecnofin, dopo una serie di passaggi societari che corrono parallelamente ai guai giudiziari di Salomone, fino alla condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. 

A essere menzionati nell’interdittiva antimafia sono anche gli appalti che le imprese che fanno riferimento al gruppo Campione si sarebbero aggiudicate nel corso degli anni senza gara. «La pratica di affidamento diretto appare tutt’altro che circostanziata e limitata nel tempo», si legge. Spazio anche ai procedimenti che si sono susseguiti negli anni in merito ai depuratori: viene ricordato il caso di Ribera dove l’impianto non sarebbe stato riparato ma comunque agli abitanti sarebbe stato chiesto di pagare l’intero importo del canone; e quello di Villaggio Mosè, sequestrato dopo che l’Arpa avrebbe dimostrato che i reflui in entrata erano più puliti di quelli in uscita.

Tra i passaggi più gravosi c’è infine quello che riguarda l’intera famiglia Campione. «I riferimenti acquisiti in sede istruttoria evidenziano come tutti i membri della famiglia risultano essere stati, a vario titolo, coinvolti nella perpetrazione di reati contro la pubblica amministrazione», conclude il prefetto.


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