«Che fastidio essere circondati da gente che prova compassione per te, vero? Quando è toccato a me (ma solo in parte, perché in fondo a me è morto soltanto il marito), quel fastidio mi è rimasto addosso per mesi». La nostra cronista scrive a Giuseppe Giordano
Tragedia Casteldaccia, lettera al sopravvissuto Giuseppe «Non sei più marito, figlio e fratello, ma sei ancora padre»
Caro Giuseppe,
ti ho visto, con gli occhi troppo gonfi e la voce spezzata dal pianto, mentre raccontavi ai cronisti gli ultimi istanti prima dell’inferno. Ho visto la rabbia e la sopraffazione.
Che fastidio, essere circondati da gente che prova compassione per te, vero? Quando è toccato a me (ma solo in parte, perché in fondo a me è morto soltanto il marito), quel fastidio mi è rimasto addosso per mesi. Quella sensazione, non detta per carità, per cui anche il più caro degli amici, anche la persona più vicina nel momento più buio, ti guarda e si sente un privilegiato. Perché non è successo a lui. Questa volta è toccato a te.
Non giriamoci attorno. Sarà durissima. Ti toccherà attraversare l’inferno, chiedendoti ogni santo giorno quando finirà. O perché non sia finita con loro, in quella casa della morte. Fino a quando arriverà la consapevolezza che con quel dolore dovrai conviverci. I momenti di smarrimento continueranno ad esserci, ma imparerai a gestirli meglio. Imparerai a farti sopraffare meno, per meno tempo, meno intensamente.
Passerà anche quel sentirsi presi in giro ogni mattina, quando il sole sorge. Che sei venuto a fare, sole? Perché non finisce tutto? No, non finisce tutto, caro Giuseppe. Non è la fine del mondo, è solo la fine del tuo, di mondo. Tutto il resto continua a girare. E grazie al Cielo, aggiungo, continua a girare. Perché c’è Asia. Che nome azzeccato, per una ragazzina di appena undici anni a cui toccherà sorreggere il peso del mondo intero. C’è Asia e ti accorgerai molto prima di quanto tu creda che sei ancora papà. Non sei più marito, non sei più figlio, non sei più fratello. Ma sei ancora padre. E sarà un peso insopportabile, soprattutto all’inizio. Perché penserai di non essere all’altezza, ma soprattutto perché non avrai alcuna voglia di occuparti di nessuno, diciamolo.
Ti ho visto piangere, Giuseppe. Goditi le tue lacrime, tienitele strette. Perché il giorno in cui non ne usciranno più, arriverà molto prima di quanto tu creda. Sarà lo stesso giorno in cui guarderai di nuovo tua figlia. Ti accorgerai che le sue paure e il suo smarrimento sono mille volte più grandi delle tue. Ti ritroverai adulto quando vorresti solo tornare indietro nel tempo. Invece ti toccherà andare avanti. Con la grande responsabilità (indovina un po’?) di trasmettere a tua figlia l’amore per la vita. Esatto. Quella stessa vita che odi, perché ti ha tradito e deluso, ma soprattutto ha tradito e deluso Asia. Ha solo undici anni. E ha il diritto di tornare a sognare. E di guardare, in qualche modo, al futuro con speranza.
Dovrai prenderti cura di lei. Sostenerla. Ascoltarla. Tirarla su. Sarai il suo pilastro da oggi. L’unico. E i tuoi occhi dovranno essere asciutti, per sostenere i suoi pieni di lacrime. Scoprirai dentro di te una forza che non immagini nemmeno. E sarà lei, soltanto lei, a salvarti. E ridare un senso alla tua vita.
Buon viaggio, Giuseppe, ce la farai.