Due ragazze ritrattano le accuse al santone Capuana Intercettate: «Di’ che la collana è segno di amicizia»

Giustificazioni insistenti e versioni dei fatti che vengono clamorosamente capovolte. Uno spartito fatto di continue ritrattazioni in cui compare anche un’inchiesta della procura di Catania per falsa testimonianza e calunniaLa vicenda giudiziaria di Pietro Capuana – il santone accusato di avere abusato di numerose ragazze sfruttando il ruolo di guida della comunità religiosa Associazione cattolica cultura ambiente di Lavina, nel territorio di Aci Bonaccorsi – si arricchisce di un nuovo tassello.

Protagoniste due ragazze che, dopo essere state tra le accusatrici di Capuana, hanno deciso di negare le loro vecchie dichiarazioni. Le due testimoni vengono sentite dagli inquirenti in due occasioni. Ad agosto 2017, qualche giorno dopo gli arresti – quando avrebbero confermato le accuse nei confronti del 74enne, parlando nel dettaglio dei turni predisposti per accudirlo e assecondare i suoi appetiti sessuali – e tre mesi dopo, durante gli incidenti probatori di metà novembre. Ed è proprio in questa occasione che nei racconti delle ragazze si assiste alle sistematiche negazioni di quanto affermato precedentemente.

Gli dovevi dire in segno d’amicizia. Stupida!

Si comincia da quello che sarebbe successo a margine dei momenti conviviali della comunità. Quando le presunte vittime avrebbero «lavato Capuana completamente nudo» all’interno del suo bagno. Durante il primo interrogatorio una giovane assicura di «avere assistito a questa scena». Tre mesi dopo però la sua versione è diversa«Noi stavamo nell’anticamera del bagno a passare tovaglie e nient’altro. Sua moglie lo aiutava», si legge in uno dei verbali. Nel primo confronto con i magistrati la donna, che da minorenne avrebbe svolto i turni, aveva parlato pure delle presunte richieste del santone: «Mi chiedeva di spogliarlo e di spogliarmi a mia volta». Anche queste accuse, tre mesi dopo, vengono negate. «È vero quello che ha raccontato?», chiede la magistrata Laura Garufi. «No», risponde la ragazza, per poi giustificarsi: «Ho detto quelle cose per paura»

Ma di cosa? A causare l’insicurezza, stando al racconto della ragazza, sarebbero state le parole di magistrati e inquirenti prima dell’interrogatorio di agosto: «Mi è stato detto di dire la verità “perché noi già le cose le sappiamo” e che se dicevo qualcosa di non vero avrei avuto problemi dopo». L’interrogatorio va avanti in un clima sempre più teso finché emergono due particolari che non possono essere trascurati in questa storia: una collana e un quadro

Nel primo caso bisogna tornare ad agosto dell’anno scorso. Le due donne si trovano nella stessa sala d’attesa, ma non sanno di essere intercettate. Finiti gli interrogatori avviene uno scambio di battute sull’accessorio, identico, che entrambe portano al collo. Particolare che non sfugge ai magistrati durante l’audizione. A quanto pare quello sarebbe un regalo che Capuana avrebbe fatto a una serie di ragazze per la ricorrenza di San Valentino di qualche mese prima. «Mi ha chiesto per la collana, che avevamo uguale», commenta una delle due. «Gli dovevi dire in segno d’amicizia. Stupida!», replica l’altra. «E se poi la vedeva agli altri?», si chiede la prima donna. Tre mesi dopo, davanti alle ritrattazioni, è la magistrata a riprendere i contenuti di quel dialogo. «Perché le ha detto di dire che era un segno di amicizia tra voi due?», chiede a una delle testimoni. «Non lo so, chieda a lei», è la replica. L’interrogativo allora viene posto anche alla seconda donna: «Ricorda se avevate una collana uguale quel giorno?». La teste risponde affermativamente, ma indica l’oggetto come un segno di vicinanza con l’amica, senza rimandare a Capuana e a quanto già svelato in aula prima di lei. Quando le viene fatto presente di essere stata intercettata, i toni però cambiano e i ragionamenti si fanno particolarmente contorti: «Non mi riferivo a quella collana […] non è che sapevo che collana aveva lei al collo, io non mi metto a guardare il collo».

Ma a lanciare ulteriore mistero su questa vicenda c’è anche l’aneddoto riguardante un quadro, che una delle ragazze giura di essersi proposta di realizzare per esporlo al cenacolo, il luogo in cui l’associazione guidata da Capuana si riuniva una volta a settimana, ufficialmente per pregare e ascoltare le locuzioni del santone, che si presentava ai propri seguaci come l’incarnazione dell’arcangelo Michele. Il dipinto però non è mai stato completato, nonostante per lo stesso Capuana e altri avrebbero sborsato 500 euro «per comprare i materiali e i colori». I soldi non verranno mai restituiti. «Non me li hanno chiesti, ma se lo avessero fatto li avrei restituiti», dichiara la donna ai magistrati. Stando alla ricostruzione che emerge nell’interrogatorio, tutto sarebbe avvenuto ad agosto 2016, nello stesso mese, come fa notare in aula un legale, in cui partono le denunce sulla presunta setta. Alla domanda su chi le avesse consegnato i soldi, la donna, dopo lunghi tentennamenti e sollecitazioni, risponde: «Se non sbaglio me li ha dati Fabiola, ma non lo ricordo bene».

La donna citata dalla testimone potrebbe essere Fabiola Raciti, 56enne, anche lei indagata e per la quale la procura ha chiesto il processo. Raciti, insieme a Katia Scarpignato e Rosaria Giuffrida, farebbe parte del trio di fiancheggiatrici che avrebbero aiutato da vicino Capuana. Un’assistenza quotidiana, che avrebbe riguardato anche l’organizzazione degli incontri intimi con le ragazzine e la gestione di chi tra loro avrebbe potuto avanzare tentennamenti davanti alle richieste del santone. Ad attendere la decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio proposta dai pm etnei, oltre a Capuana e alle sue fedelissime, sono inoltre Domenico Rotella, marito di Giuffrida ed ex assessore e deputato regionale, il sacerdote Orazio Caputo e l’ex presidente dell’associazione Salvatore Torrisi

Nel caso di Caputo il percorso giudiziario sarà duplice poiché dovrebbe iniziare a breve un procedimento ecclesiastico. Il religioso, infatti, dovrà rispondere dell’accusa di avere rivelato a Torrisi, che a sua volta lo avrebbe detto a Rotella, i contenuti di una confessione raccolta dalla madre di una delle ragazzine che sarebbe stata abusata. In un primo tempo sembrava che l’avvio del procedimento potesse avvenire nei giorni scorsi, poi la Curia ha deciso di rinviarlo.


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