Il blitz, che nel 2013 azzerò il clan del mandamento mafioso di Bagheria, aveva ricostruito le attività di un gruppo che avrebbe illecitamente finanziato imprese edili, supermercati e locali notturni. Coinvolto anche il sindaco di Alimena Scrivano, accusato di essere stato a conoscenza dell'appartenenza mafiosa di alcuni membri del suo comitato elettorale
Operazione Argo, cinque condanne in appello Pizzo e droga per finanziare campagne elettorali
Pizzo e traffico di droga avrebbero finanziato campagne elettorali e iniziative imprenditoriali. È il contesto di un’operazione antimafia che in appello ha portato alla condanna di cinque persone. È il gruppo stralciato dal blitz Argo che nel 2013 azzerò i clan del mandamento di Bagheria. Condannato Carmelo Bartolone a 13 anni, Pietro Granà a 10, Michelangelo Lesto a sette, Settimo Montesanto a tre anni e quattro mesi (senza l’aggravante mafiosa), Giacinto Tutino a cinque anni. La corte ha invece deciso di non doversi procedere nei confronti di Piero Centineo: caduta l’accusa di estorsione, doveva rispondere di lesioni, ma il caso è chiuso per mancanza di querela. Centineo era accusato di avere colpito l’impiegato di un’azienda per farsi consegnare il pizzo. In realtà l’aggressione sarebbe motivata dal pagamento contestato di alcune multe.
L’inchiesta ha ricostruito le attività di un gruppo che con la droga e le estorsioni avrebbe finanziato imprese edili, supermercati e locali notturni. Uno degli imputati, Carmelo Bartolone, sarebbe finito nel mirino della cosca ma si sarebbe salvato fingendosi indisposto e presentandosi quindi al pronto soccorso. Tra gli arrestati anche Giuseppe Scrivano, ora sindaco di Alimena, che viene giudicato a parte: la sua posizione è stata stralciata per un vizio di forma. L’accusa mossa dalla procura nei suoi confronti è di voto di scambio politico-mafioso.
«Aveva fatto campagna elettorale lì, come altrove, pagando l’affissione dei manifesti. Alcune persone del comitato elettorale erano intercettate nell’ambito di questa operazione antimafia ed è così che è stato sentito anche il nome di Giuseppe Scrivano – spiega l’avvocato Vincenzo Lo Re, che lo rappresenta -. Si è pensato che lui fosse a conoscenza dell’appartenenza mafiosa di questi soggetti, quando invece aveva solamente lasciato mille euro proprio per fare affiggere i manifesti, come ne aveva lasciati 500 a Misilmeri e 800 a Villabate». Una tesi portata avanti dal legale a processo, che proseguirà a dicembre.