Ieri il vice-ministro al Welfare Michel Martone ha dichiarato: «Se a 28 anni non sei laureato sei uno sfigato». Su twitter e facebook si è levato un coro di insulti, proteste, battute sarcastiche («E allora Steve Jobs che non era neanche laureato?»). Tra le tante risposte, riprendiamo, da Repubblica, la lettera aperta di Adelmo Monachese, precario foggiano che racconta dei mille lavori e dei mille ostacoli che incontra uno studente, soprattutto nel meridione d'Italia
Laurea entro i 28? «Al Sud è un’impresa» Lettera aperta di un quasi ex studente
OGGI durante un convegno della Regione Lazio, il vice-ministro Michel Martone ha dichiarato: «Se a 28 anni non sei laureato sei uno sfigato». Sono la persona adatta per parlargli: ho 28 anni e ancora non mi sono laureato. Vivo a Foggia e stavo cercando di laurearmi a Bari in Scienze della comunicazione mantenendomi con vari ed eventuali lavori.
Breve riepilogo, sono: studente fuori corso, pendolare, lavoratore saltuario, sottopagato e a nero. Sto mollando l’Università (mi mancano quattro esami e ho una media del 28/29, di preciso non la ricordo ma non è inferiore a quanto vi ho indicato) perché da quando mi sono iscritto le tasse, le tariffe dei treni e i prezzi dei libri sono solo aumentate. Le borse di studio? Non ne parliamo: sono un traffico così oscuro che una volta mi capitò di ascoltare nei corridoi dell’Università le grida di una ragazza che arrabbiatissima perché non aveva avuto accesso alla borsa di studio nonostante vivesse con la sorella condividendone condizioni economiche e familiari e anche di rendimento didattico che, però, l’aveva ricevuta.
Capita così di lavorare il sabato sera in pizzerie i cui titolari hanno la terza elementare e, per compilare un assegno, chiedono a te quanti zeri vanno in diecimila e tu, che non hai nemmeno il conto corrente, glielo spieghi. La tariffa in pizzeria è di 30 euro il sabato, 25 gli altri giorni. Il regionale per Bari, il più economico, andata e ritorno costa 16,80 euro; prima allo stesso prezzo potevi prendere l’espresso (tutti i foggiani pendolari per Bari hanno impresso nella memoria lo storico espresso delle 06:30 che partiva da Torino Porta Nuova la sera prima, salirci era come entrare dentro una gigantesca scarpa da ginnastica usatissima) che ora non c’è più.
Quindi mi capitava di spendere in un sol giorno 16,80 solo per i biglietti per arrivare in Ateneo e seguire una lezione più breve del mio solo viaggio d’andata, o per farmi mettere una firma e poi tornare in stazione (sì, funziona ancora così, le firme con la penna sulla carta), oppure prendere appuntamento con un professore, farsi i 123 km e trovare la porta del suo ufficio chiusa, nessun biglietto, nessun avviso, nessuna notizia lasciata al portinaio, niente, così ti giri e ti rifai i 123 km all’inverso (posso fare nomi cognomi e date di tutto ciò che vi sto raccontando). Le e-mail e il telefono per i professori non sono strumenti di uso quotidiano, almeno nel rapporto con gli studenti, eppure se capita di vederli al bar hanno sempre un telefono in mano. Conosco bene i professori, assistenti, ricercatori e i loro comportamenti da bar, avendo lavorato ANCHE nel bar all’interno dell’Università degli studi di Foggia, quell’Università famosa perché il precedente magnifico rettore vi ha sistemato tutta la famiglia, famiglia in senso molto ampio, anche i parenti acquisiti, facendo la fortuna di Striscia la notizia, Le iene, W l’Italia di Iacona e Report. Sono sempre lì a dire quanto sia sottovalutato il loro contributo, poi però c’è sempre un loro collega a dire che quello che fino a poco prima si stava lamentando è il cancro dell’Università.
Ma non voglio sproloquiare: spendo 16,80 euro per andare a Bari e per risparmiare mi porto i panini e l’acqua da casa, ogni giorno di lezione sembra che mi stia organizzando per una pasquetta, invece cerco solo di limitare i costi. Così per tre giorni ti alzi alle 05:30 e torni a casa alle 20:30 e nei restanti giorni della settimana dovresti studiare, però devi anche lavorare per pagarti tutto il pacchetto Università, nel frattempo non sarebbe male guastare almeno un po’ le lenzuola del letto e, magari, farsi una vita sociale.
Velocemente i lavori che ho fatto: cameriere, barista, traslocatore, giardiniere, animatore per bambini, autista, impiegato INPS, lavoratore IPERCOOP, Babbo Natale, addetto alle pulizie su barca a vela. INPS e IPERCOOP regolari, con i contributi, tutti gli altri a nero, senza nessun tipo di formazione professionale.
Vorrei guadagnarmi da vivere scrivendo e da Settembre 2011 ho deciso, con enormi dubbi e critiche da parte di famiglia e amici, di dedicarmi solo a quello, rinunciando alle 600 euro da barista. Scrivo per un free press della mia città che mi paga 150 euro al mese. Sarebbero 5 euro al giorno. Non posso dirvi quanto fa all’ora perché non è possibile calcolare in ore il lavoro del giornalista. O forse sì, potrei anche calcolare la mia retribuzione oraria segnandomi il tempo che si passa in redazione, gli spostamenti tra gli eventi da seguire, i tempi di scrittura e di preparazione ai temi da affrontare, ma preferisco non farlo perché… dovete permettermi di dire queste cose ad alta voce prima che Martone, crescendo, dalla poltrona istituzionale che occuperà di qui a vent’anni dica ai futuri giovani che sono dei bamboccioni.
Io non sono nessuno, non rappresento nessuno, non faccio parte di nessuna associazione studentesca, sindacale, di protesta, nessun movimento, nessuna avanguardia. Eppure nelle vene dell’Italia pulsa un sangue fatto di un esercito di ragazzi e ragazze come me, senza genitori ai ministeri o ai comuni o alle province. Ragazzi che non faranno i notai perché i genitori sono notai, non faranno i medici perché i genitori sono medici, non faranno come i figli di avvocati che nonostante abbiano la facoltà di giurisprudenza nella loro città vanno a studiare fuori, in una Università più facile perché tanto poi hanno lo studio di famiglia con la scrivania e la targhetta già pronta. Nei treni regionali lavati da cima a fondo con UN secchio e UNO straccio con me ci sono migliaia, MIGLIAIA di persone che partono da casa col buio e tornano a casa con lo stesso buio, che fanno del treno il loro ufficio, la loro sala da pranzo, il loro luogo di studio. Persone che, come me, restano intrappolati in un treno nuovo di zecca in mezzo alla campagna senza che il personale dia loro una spiegazione e, dopo tre quarti d’ora vengono fatti scendere nella stazione di Cerignola Campagna al saluto di: «Prendente i prossimi treni che passeranno, non sappiamo quali».
Il prete anti camorra Don Aniello Manganiello qualche giorno fa è venuto nella mia città per parlarci della sua esperienza a Scampia dicendo che il senso della politica è chiedersi «Cosa si può fare per risolvere questo?» , «Come usciamo da questo problema?» e non dire «Se a 28 non sei laureato sei uno sfigato». Puntare il dito verso chi è rimasto indietro non è un comportamento da tenere in una società civile e democratica, è un comportamento da giungla. Berlusconi poco prima di farsi da parte ebbe il tempo di dire, a proposito della crisi: «In Italia i ristoranti sono pieni». Sì, sono pieni da laureati e laureandi che fanno i camerieri.
Testo di Adelmo Monachese tratto da Repubblica.it
[Foto di James Almond]