Castiglione non si candida: «Però resto in politica» Per gli alfaniani dopo il governo solo bocconi amari

«Consiglio» accettato. L’ex senatore Pino Firrarelloparlando a MeridioNews soltanto poche ore fa, aveva di fatto spianato la strada alla decisione adesso resa pubblica dal suo genero Giuseppe Castiglione, dal 2013 sottosegretario alle Politiche agricole ed esponente di punta di Nuovo centrodestra ed Alternativa popolare, i partiti creati da Angelino Alfano dopo la fuoriuscita dall’alveo berlusconiano. Castiglione, alle prossime elezioni politiche, non sarà della partita. Troppo precaria la prospettiva di correre per la lista Civica popolare della ministra Beatrice Lorenzin. Nata per essere l’alleato centrista del Pd, la formazione doveva accogliere le varie forze più o meno democristiane che, nel corso della legislatura, hanno sostenuto i governi Letta, Renzi e Gentiloni. Superare il 3 per cento sarà però impresa ardua, mentre viceversa nel centrodestra si consolida l’aggregato della quarta gamba dei moderati, la lista  Noi con l’Italia – Udc

Castiglione in tutto ciò non ci vede niente di buono: «Si era parlato di due coerenze», dice il sottosegretario a MeridioNews ripercorrendo le tappe della scissione di Ap. Da una parte Lorenzin e centristi convinti di continuare a sostenere il Pd: dall’altra Maurizio Lupi e altra classe dirigente, ultimi fra gli alfaniani pentiti a rientrare nel centrodestra in tempo per il treno della quarta gamba. Castiglione e Firrarello sono così finiti al centro dei due centri con diversa tendenza centrifuga. «Alla fine si tratta solo di due debolezze, mentre l’idea originaria di un centro moderato e autorevole è tramontata», annota il sottosegretario. Uno dei volti più controversi dei governi di larghe intese a guida Pd, imputato nel processo sull’appalto per il Cara di Mineo

Che adesso Castiglione chiuda di colpo la sua carriera nelle istituzioni? «Non mi candido, ma è cosa diversa dallo smettere con la politica, cosa che si può fare anche fuori dal Parlamento», risponde il genero del guru democristiano Firrarello. Sotto la sua ala, agli albori della Seconda Repubblica, era cominciata la carriera del politico 54enne: dal Comune di Bronte via via a salire fino all’Europarlamento, dalla presidenza della Provincia di Catania fino alla Camera, passando per vari incarichi al governo della Regione. Nel 2013 Firrarello lascia il Senato, mentre poco dopo il genero entra nel governo Letta al seguito di Alfano. L’esperienza con il Pd diventa non più un fuoriprogramma, ma una nuova prospettiva. «Ho ancora un ottimo rapporto con Renzi, e lo ringrazio – aggiunge Castiglione – il problema resta il frazionamento del centro». Da una parte c’è infatti il centrodestra che sarebbe solo «un insieme di partiti che vuole arrivare al massimo», mentre Castiglione resta «legato al Ppe», pur ritenendo ancora che «la proposta più convincente oggi sia quella di Renzi». Anche perché l’avversario da battere, oggi, «è il populismo». 

Dietro il funambolico ragionamento e l’ultima scelta di Castiglione, benedetta peraltro dal suocero Firrarello, c’è tutto l’equivoco che ha fatto le recenti sfortune elettorali dei centristi ex berlusconiani. L’operazione centrista Ncd-Alternativa popolare non è decollata, nel limbo di un appoggio convinto al Pd mai però digerito del tutto dall’elettorato post-democristiano. Castiglione è l’ultimo dei soldati alfaniani che ammaina, forse solo provvisoriamente, la bandiera. Lo stesso ministro degli Esteri Angelino Alfano aveva rinunciato a ricandidarsi. Alle ultime Regionali siciliane, poi, il partito non era riuscito ad eleggere deputati: la squadra dei brontesi aveva già visto l’ex deputato Nino D’Asero mollare l’impegno all’Ars, mentre il flop di novembre – arrivato da alleati del Pd e di Casini e D’Alia – aveva fatto saltare fedelissimi come il medico Nuccio Condorelli. Giovanni La Via, europarlamentare designato vicepresidente di Fabrizio Micari, si è pure lui trovato in fuorigioco. 

Altri ex firrarelliani, infine, come i senatori Salvo Torrisi e Pippo Pagano, da Paternò e Giarre, vedono il loro futuro politico in bilico. Entrambi a sostegno dei governi Pd in quota Alfano, salvo poi sganciarsi senza troppo clamore nell’ultimo anno di legislatura, adesso faticano a ricollocarsi nel centrodestra. Torrisi deve fronteggiare la ribellione degli azzurri catanesi che non vogliono la sua candidatura in Forza Italia che Niccolò Ghedini gli avrebbe invece promesso. Pagano mantiene aperto il dialogo con la quarta gamba, ma farsi spazio nell’affollata compagine di centristi in cerca di un posto al sole – si va dai lombardiani a Giovanni Pistorio – pare missione impossibile. 


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