Un nuovo studio condotto su diverse generazioni di lave etnee rivela importanti novità utili al monitoraggio dell'attività vulcanica. Come gli anelli dei tronchi degli alberi, alcuni frammenti presenti nella roccia registrano la memoria dei processi vulcanici profondi, di fatto raccontandone la storia
Etna, cristalli lavici aiutano a prevedere eruzioni Lo studio di due ricercatori stranieri sul vulcano
Insignificanti o poco degni di nota: questo è quello che apparentemente saremmo portati a pensare osservando i cristalli contenuti all’interno delle rocce vulcaniche, come ad esempio le lave dell’Etna. Appaiono come piccoli frammenti di forma più o meno regolare e colore diverso rispetto a quello della roccia in cui sono incastonati e, a volte, hanno dimensioni addirittura microscopiche. Nonostante ciò, essi sono una preziosissima fonte di informazione per i ricercatori poiché celano la chiave per comprendere meglio l’arrivo di un’eruzione.
I cristalli si formano generalmente quando il magma, ancora all’interno della camera magmatica, comincia a muoversi lungo il condotto vulcanico. Ma alcuni cominciano a costituirsi anche prima, quando il magma ancora staziona all’interno della camera stessa. Elementi chimici contenuti all’interno del magma, infatti, hanno la capacità di
aggregarsi tra loro e formare dei cumuli che galleggiano all’interno del materiale ancora fuso che li circonda. Se la risalita del magma è sufficientemente lenta, questi frammenti si accrescono sempre di più e nel caso in cui dovesse avvenire un’eruzione non esplosiva (quindi una colata lavica) vengono trasportati in superficie. Dopo che la colata si è raffreddata possiamo quindi distinguerli chiaramente a occhio nudo all’interno della roccia. I cristalli, molto spesso, sono zonati: cioè presentano al loro interno dei livelli di accrescimento, simili agli strati di una cipolla, che si differenziano per composizione chimica.
Due ricercatori (Teresa Ubide dell’università australiana del Queensland e Balz Kamber del Trinity College di Dublino) hanno condotto uno studio esaminando i prodotti delle eruzioni del’Etna nell’arco di tempo dal 1974 al 2014. L’oggetto di studio sono stati i cristalli di clinopirosseno (una famiglia di minerali tipica delle rocce etnee). Tramite Laser Ablation ICPMS (una tecnica laser utilizzata per bucare i cristalli e studiarne la composizione chimica) gli studiosi hanno analizzato la concentrazione di cromo, un elemento chimico presente all’interno del magma. Questo elemento è stato scelto in quanto particolarmente sensibile all’arrivo di nuovo magma profondo (che notoriamente potrebbe innescare una nuova eruzione). I risultati (appena pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Nature communications) hanno mostrato che il cromo si distribuisce in concentrazioni diverse, all’interno di ciascun livello del cristallo e la sua quantità è regolata da alcuni processi in grado di innescare un’eruzione.
Ciò significa che i cristalli di clinopirosseno dell’Etna registrano una memoria delle varie fasi dell’attività del magma. In altre parole, così come gli anelli di accrescimento dei tronchi degli alberi raccontano la loro storia, allo stesso modo leggendo la concentrazione di cromo dei vari livelli dei cristalli si possono ottenere informazioni molto importanti nell’ambito del monitoraggio del rischio vulcanico. Prevedere un’eruzione vulcanica rimane un compito abbastanza delicato che necessita di un approccio multidisciplinare. Non basta cioè un singolo fenomeno per potersi aspettare l’arrivo di un’eruzione, bensì vanno integrati tra loro tutti i dati a disposizione: dati sismici (per esempio il tremore vulcanico), dati sulla composizione dei gas delle fumarole, dati geodetici (relativi alla deformazione del terreno).
Di certo questo nuovo studio è un ulteriore contributo che può aiutare i ricercatori a interpretare in maniera più efficace le informazioni provenienti dai cristalli, aggiungendosi a quelle dei dati che ogni giorno vengono raccolti attorno a un vulcano così frequentemente monitorato come l’Etna. Inoltre, questo nuovo approccio può risultare un potente strumento molto utile nello studio dei vulcani quiescenti (vulcani cioè che non eruttano da diverso tempo e che spesso risultano pericolosi e imprevedibili). Per vulcani di questo tipo, infatti, è molto difficile ricostruire la storia geologica per mancanza di informazioni. Analizzando però i cristalli di lave formatesi in diversi periodi geologici gli studiosi possono risalire al loro passato e quindi prevedere il loro futuro.