Droga Albania-Sicilia, chiuse le indagini su Habilaj Coinvolti in 15 ma è ancora caccia ad alcuni latitanti

L’inchiesta Rosa dei venti sul traffico di droga tra Albania e Sicilia è ufficialmente chiusa. L’elenco dei presunti colpevoli, come si legge nell’avviso conclusioni indagini della procura di Catania, è composto da 15 persone. Il più noto di quelle lista è Moisi Habilaj, non solo in virtù dell’accusa di essere il capo dell’organizzazione ma anche perché cugino dell’ex ministro dell’Interno albanese Saimir Tahiri. Un legame di sangue che nasconde altro? Nelle scorse settimane la questione è finita al centro di un’inchiesta della procura per i crimini gravi di Tirana. Che vuole capire se tra il politico socialista e Habilaj ci sia qualcosa in più di una parentela. Voci e ombre sul conto di Tahiri non si contano più nel Paese dell’aquila bicipite e sono in tanti ad accusarlo, senza giri di parole, di essere legato al mondo del narcotraffico. Spartito recente ma che rimanda inevitabilmente al passato. Dalle rivelazione dell’ex poliziotto Dritan Zagani fino all’utilizzo di una macchina Audi intestata al politico, ma che gli Habilaj avrebbero utilizzato per i loro affari tra la Grecia e l’Italia

Nel capitolo catanese di questa vicenda, conclusosi con il blitz della Guardia di finanza dell’ottobre scorso, il nome di Tahiri non risulta tra quelli indagati. Clamore avevano suscitato in Albania alcune intercettazioni, svelate da MeridioNews, in cui i presunti trafficanti facevano riferimenti al politico. Gli unici albanesi che fanno parte dell’avviso di conclusione indagini, oltre a Moisi Habilaj, sono Maridian Sulaj e Fatmir Minaj. Il primo si trova detenuto nel carcere di piazza Lanza mentre il secondo attenderà l’evoluzione della vicenda giudiziaria da libero. Negli affari siciliani del gruppo balcanico un ruolo fondamentale lo avrebbero giocato anche gli italiani. Antonino Riela, Vincenzo Spampinato e Angelo Busacca sono quelli ritenuti di maggiore spessore. Accusati di essere gli acquirenti di enormi carichi di marijuana poi rivenduta alla famiglia di Cosa nostra Santapaola e ai clan mafiosi attivi ai piedi dell’Etna. 

Anni di indagini, quelli delle fiamme gialle, fatte di intercettazioni, pedinamenti e arresti. Nelle otto pagine del documento che formalizza la chiusura dell’inchiesta vengono passate in rassegna una lunga serie di sequestri di stupefacenti. Tra le province di Catania e Siracusa viene citato quello effettuato in una spiaggia della Baia del silenzio di Augusta, nel 2013. Quasi due anni dopo tocca all’area etnea di Riposto, dove gli inquirenti trovano 880 chilogrammi di marijuana a bordo del peschereccio Fatima. Droga e non solo. Il clan albanese che sarebbe stato capeggiato da Habilaj si sarebbe occupato anche dell’importazione di fucili kalashnikov.

Tra i nomi del documento non c’è in elenco Florian Habilaj, fratello di Moisi. Stesso discorso per Sabaudian Celaj, Armando Sulaj e Seiti Nezar. Dei quattro a essere stato catturato dopo il blitz Rosa dei venti è il solo Nezar. Bloccato della polizia albanese durante un controllo antidroga mentre si trovava nei pressi della cittadina costiera di Vlora. In attesa di una possibile richiesta d’estradizione, di cui al momento non si hanno notizie, sotto i riflettori della scena politica e giudiziaria del Paese balcanico c’è l’ex ministro Tahiri. 

Passate 48 ore dall’arresto del cugino, per allontanare le ombre sul suo conto, Tahiri aveva scelto di mostrare un documento, con intestazione della procura di Catania, in cui dava conto dell’assenza di indagini a suo carico. A pochi giorni di distanza arrivava il via libera del parlamento, dopo la richiesta dei magistrati di Tirana, per metterlo sotto indagine, rimandando però al mittente la richiesta d’arresto. Due passaggi chiave ai quali adesso si aggiunge un approfondimento giornalistico del canale televisivo albanese Top Channel, in collaborazione con MeridioNews, in cui si analizzano le differenze tra il documento mostrato dall’ex ministro e quello solitamente in uso nelle cancellerie del tribunale di Catania. Un foglio di carta in formato A4 rilasciato a tutti i cittadini che ne fanno richiesta per sapere se ci sono indagini a proprio carico. 

Con la conclusione delle indagini preliminari gli indagati – in lista ci sono anche i fratelli Giuseppe e Antonio Greco, Gianluca Passavanti, Rosario Giuliano, Massimiliano Brundo, William Patanè, Enrico Giaquinta, Carmelo Bertolini e Fabio Spampinato – avranno venti giorni per presentare memorie, produrre documenti o atti relativi alle indagini svolte dai difensori. Tra le possibilità c’è anche quella di chiedere di essere sottoposti a interrogatorio.


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