Settimana santa nell’Ennese, tra storia e spiritualità Attesa per i riti a Barrafranca, Pietraperzia e Aidone

A Enna, Pietraperzia, Aidone, Barrafranca e Nicosia gli appuntamenti pasquali sono certamente il momento più sentito da tutta la popolazione. Devozione, attaccamento alle tradizioni, espiazione, partecipazione sono alcune caratteristiche dei riti della settimana santa della Sicilia dell’entroterra, quella più autentica.

Manifestazione religiosa tra le più popolari è senza dubbio la settimana santa di Enna, seguita ogni anno da migliaia di fedeli e visitatori provenienti da tutta la penisola e anche dall’estero. Una tradizione che affonda le proprie radici nel passato e che culmina con la processione del venerdì santo. «Abbiamo notizia – racconta Rocco Lombardo storico di tradizioni locali e presidente della Società Dante Alighieri – che verso il 1571 circa, i frati dell’ordine dei Cappuccini donarono alla chiesa madre della città la reliquia della spina santa (una delle spine della croce di Cristo che ancora oggi si porta in processione) a patto che durante il corteo del venerdì santo giungesse fino al loro monastero. Dunque già a quel tempo la processione esisteva ed è così che è arrivata fino ai giorni nostri».

La fervente devozione che gli ennesi riservano al culto del venerdì santo è rimasto immutato nei secoli. «È l’evento più atteso dai fedeli – spiega lo studioso -. Possiede una caratteristica unica: la processione avviene nel silenzio più assoluto». Gli oltre tremila confrati incappucciati appartenenti alle sedici confraternite precedono silenziosamente l’urna del Cristo Morto, il fercolo dell’Addolorata e il baldacchino con la reliquia della spina santa. «Un corteo silente – continua Lombardo – scandito solo della marcia funebre e dai canti del coro Passio Hennensis che quest’anno intonerà il Popule mesus, brano composto nel 1798 da Giuseppe Coppola per il duomo di Enna».

Suggestivo e spettacolare è anche Lu signuri di li fasci di Pietraperzia. Verso il tramonto, nel giorno del venerdì santo, la vara con il crocifisso viene lasciata in posizione orizzontale nella piazza della chiesa del Carmine per permettere ai devoti di allacciare ai piedi della croce numerose tele di lino bianche come ex voto e promesse. Tre tocchi sulla vara sono il segnale che la croce è pronta per l’alzata. Credenti e fedeli assistono emozionati. Ad accompagnare il tragitto dei portatori di fasce e confrati di Maria santissima del Soccorso, lo struggente lamento corale della Ladata. Una melodia che «i cantori pietrini, denominati ladatùri, – riferisce Pino Biondo, studioso di tradizioni popolari e musicologo – intonavano nel periodo Quaresimale, in particolare il mercoledì e il venerdì dopo la messa mattutina delle 4 per consentire ai contadini di partecipare». Tra le novità di quest’anno le visite guidate da parte di un gruppo di alunni di scuola media che faranno da ciceroni ai visitatori. «Lo scopo del progetto è quello di rendere consapevoli i nostri ragazzi del loro immenso patrimonio artistico e culturale e di coinvolgerli in un’esperienza di responsabilità a contatto con i turisti», chiarisce l’assessora Chiara Stuppia.

Fervore, irruenza e venerazione contraddistinguono da secoli la settimana santa a Barrafranca. Qui, il mercoledì santo dopo il tramonto il paese diventa palcoscenico della Vasacra (via sacra o crucis), rappresentazione itinerante sulla vita di Gesù. Il culmine di tutta la settimana arriva con la solenne processione del venerdì detta u Trunu. In quell’occasione i portatori recano sulle spalle il fercolo del Crocifisso abbellito da veli bianchi e da coloratissime scocche (fiocchi, ndr), ex voto dei fedeli. «Durante la processione sono numerosi gli uomini che si accalcano sotto la croce per essere portatori de u trunu. Per i barresi a spaddata, ovvero l’azione di portare sulle spalle il Crocifisso è un atto purgativo», spiega Rita Bevilacqua, studiosa di tradizioni locali e autrice del libro Settimana Santa a Barrafranca. A Pasqua, le statue della Madonna, del Cristo e degli Apostoli (statue alte oltre tre metri e cave così da permettere al portatore di mettersi sotto) corrono e si ritrovano nella piazza della città. Questo avvenimento noto come la Giunta (A ggiunta, in dialetto) presenta molti aspetti in comune con l’omonima celebrazione aidonese.

Proprio ad Aidone, la settimana santa risale ai tempi della Controriforma. «Nel 1960 – narra Alessandra Mirabella, presidente archeoclub Aidone-Morgantina e curatrice di una mostra fotografica sulla settimana santa – quando l’allora vescovo, monsignor Catarella, sospese la giunta di Pasqua perché la considerò eccessiva per la presenza dei santoni, i cittadini si ribellarono. Nei disordini che scoppiarono, molti aidonesi si fecero arrestare pur di mantenere viva questa tradizione che venne nuovamente ripresa nel 1971». Protagonisti della settimana santa, ieri come oggi, sono i santoni (santuna in dialetto): statue alte tre metri, con testa e braccia di cartapesta, raffiguranti gli Apostoli e costituiti da un’intelaiatura in legno all’interno per permettere ai portatori, chiamati santari, di manovrarli e portarli sulle spalle. Durante la Giunta di Pasqua, la madonna incontra il figlio risorto alla presenza dei santoni.

Infine, tra gli appuntamenti più gettonati della prossima settimana c’è la Casazza di Nicosia. Basti pensare che l’edizione dello scorso anno ha registrato la presenza di oltre 20mila turisti. «Questa antica tradizione è arrivata fino ai nostri giorni grazie a un manoscritto del 1810 del canonico Santo De Luca. Si tratta – dichiara lo studioso Giovanni D’Urso – di una rappresentazione itinerante con personaggi in costume d’epoca incentrata su nove episodi dell’Antico e 26 del Nuovo Testamento. Ebbe origine a Genova, intorno al 1260, e si diffuse nel cinquecento anche in Sicilia dove la più famosa divenne quella di Nicosia perché – conclude D’Urso – coinvolgeva oltre quattromila figuranti, 36 scene e 15mila spettatori».


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