UniCt, ai Benedettini il libro sul valore del latino «Informatica e inglese dovrebbero sostituirlo?»

Un dialogo ragionato sull’eredità che il mondo latino ci ha lasciato. Con questo spirito, all’ex Monastero dei Benedettini di Catania, Ivano Dionigi, ordinario di Letteratura latina e presidente della Pontificia accademia di Latinità, ha presentato, a studenti e docenti, il suo ultimo libro: Il presente non basta – La lezione del latino. «Non dobbiamo dimenticare che l’Europa ha parlato latino, tramite la chiesa, la politica e la scienza, ininterrottamente fino al XX secolo – ricordato Dionigi -. Si scrive latino ma si legge italiano, storia, filosofia, sapere scientifico e umanistico, tradizione e ricchezza culturale. Oggi siamo ossessionati da un presente che non basta e non ci piace, e riconquistare l’eredità del latino non ha solo un valore simbolico ma anche culturale». Una lingua morta, che certamente non si può ripristinare, ma che rimane ancora preponderante in molte espressioni che utilizziamo nel quotidiano. 

Un immenso patrimonio classico, che ha modellato la fisionomia culturale e spirituale dell’Europa per secoli, da reinterpretare per affrontare le sfide del futuro. «Quando ero studente universitario – prosegue Dionigi – c’era una contestazione verso i padri; si contestava l’autorità, sia politica che religiosa. Oggi incontro giovani che pongono domande, che vedono, anche nei docenti, dei fratelli maggiori ai quali chiedere spiegazioni. È un’Italia che fa ben sperare». Una lingua che a differenza del greco non apparteneva a poeti e filosofi, ma che era propria degli agricoltori e dei soldati, caratterizzata, dunque, dalla concretezza e dalla sintesi. «Bisogna recuperare le peculiarità non scadute di quella lingua – aggiunge il docente – e tutto ciò che essa è capace di esprimere. Essenzialmente il primato della parola, la centralità del tempo e la nobiltà della politica». 

«Come lingua della temporalità, ci rende immuni dal provincialismo di tempo – dichiara -, dato che le straordinarie potenzialità delle nuove tecnologie hanno creato un appiattimento della dimensione temporale. Come lingua della res publica, il latino ci ricorda l’arte nobile del governo della città e che il pronome che dovrebbe caratterizzare chi è impegnato nella vita pubblica è noi e non io». Nell’era della realtà virtuale, dell’interfaccia e dei 140 caratteri di Twitter, Dionigi, citando Seneca, Tacito e Cicerone, trova le ragioni per raccontare l’unicità del latino, di una lingua speciale diversa da tutte le altre, dove le parole diventano una lente di ingrandimento per capire la realtà contemporanea. «Paradossalmente ­– ricorda Ivano Dionigi – mentre siamo al maximum dei mezzi di comunicazione c’è il minimum di comprensione. Il latino ci consente, invece, di risalire al significato vero, originale e genuino delle parole. Questa lingua diventa il tramite di una cultura che ha lo sguardo rivolto al futuro». Una considerazione che investe direttamente il mondo della scuola e dell’università, dove l’insegnamento del latino non può ridursi a mero esercizio grammaticale ma deve ritrovare la vivacità tipica delle discipline umanistiche, capace di reinterpretare la cultura del mondo classico e dove la forza e la dignità delle parole diventino un veicolo imprescindibile per un reale processo di cambiamento. 

«L’università – commenta Dionigi, citando stavolta Umberto Eco -, in un mondo che cerca sempre di più le realtà virtuali, che creano un grande individualismo e una riduzione all’io, rimane uno dei pochi luoghi in cui c’è la possibilità di un contatto reale tra generazioni diverse. In un paese colto e civile la figura dell’insegnante è centrale e la scuola è il luogo dove si formano cittadini completi». Un mondo dell’istruzione investito, dunque, da un supplemento di responsabilità dove tradizione e innovazione hanno il dovere di confrontarsi, superando l’antico dilemma tra vecchio e nuovo. Il latino, che è lingua temporale capace di trasmettere una cultura perenne di cambiare nei luoghi e nei tempi diventa un supporto anche per la scienza e la tecnologia. «Non ho mai capito la rovinosa alternativa per cui l’inglese o l’informatica debbano sostituire, e non piuttosto integrare, altre discipline come il greco e il latino. Il problema – conclude Dionigi – non è essere sostitutivi ma additivi».


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