Il polverino dell’Ilva a Melilli, nonostante i divieti Attivisti: «Ci dicevano pazzi, Galletti si dimetta»

La notte del 15 dicembre un drappello di attivisti aspetta, appena fuori dal porto di Catania, l’arrivo di alcuni camion. Sono sbarcati poche ore prima con il loro carico di rifiuti provenienti dall’Ilva di Tarantopolverino d’altoforno, fango di acciaieria e fango di altoforno. Scarti industriali spediti dall’impianto pugliese, amministrato dallo Stato da fine 2013, verso la Sicilia: destinazione la discarica Cisma di Melillisequestrata due giorni fa dalla procura di Catania. I manifestanti bloccano il transito dei mezzi pesanti, gli si parano davanti srotolando uno striscione che recita: «Chiediamo giustizia per i nostri morti di cancro (e di lavoro)». 

Non sanno che quello, anche grazie alle loro azioni che hanno squarciato il velo di silenzio che ha avvolto la vicenda, sarà l’ultimo carico di rifiuti industriali spedito da Taranto a Catania. L’indomani il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti annuncia lo stop. Stando agli atti pubblicati dallo stesso dicastero e resi noti da Luciano Manna sul sito PeaceLink, tra il 28 settembre e il 14 dicembre 2016, sono 15mila le tonnellate di polverino trasferite – a bordo della nave Eurocargo Livorno della Grimaldi Lines – dall’Ilva alla Cisma di Melilli. In totale 523 camion. A queste si aggiungono le novemila tonnellate arrivate, nell’aprile del 2015, a bordo della nave Rita BR. In totale poco meno di 25mila tonnellate nell’arco di due anni. Ma secondo gli attivisti locali, la quantità sarebbe maggiore, circa 30mila tonnellate, perché alcuni trasferimenti sono stati effettuati interamente via terra con i camion. 

Cosa c’era dentro gli scarti industriali arrivati a Melilli? Il polverino d’altoforno (codice CER 100208), il fango di acciaieria (CER 100214), e il fango di altoforno (CER 1002014) sono considerati rifiuti speciali non pericolosi. Ma questa prima categorizzazione non dice tutto. Al momento del blocco dei camion fuori dal porto di Catania il 15 dicembre, gli attivisti prelevarono un piccolo campione di polvere portandola in laboratori fidati per farla analizzare, ma si attendono ancora i risultati. Quello che è certo – perché messo nero su bianco dalla Cisma per conto dell’Ilva, in un report presentato al ministero dell’Ambiente – è la presenza di notevoli quantità di metalli e altre sostanze: piombo, zinco, bario, arsenico, mercurio, nichel, cromo, vanadio, idrocarburi totali, oli minerali, naftalene, solfati e cloruri.

Elementi che andrebbero smaltiti seguendo precise specifiche tecniche. È stato così alla Cisma di Melilli? Molto probabilmente no, considerate le incredibili modalità di smaltimento messe in atto dai dipendenti dell’impianto di Antonino e Carmelo Paratore, arrestati perché accusati di far parte del clan Santapaola di Catania e di numerosi reati ambientali. Per il gip di Catania i rifiuti provenienti dagli impianti industriali e petrolchimici di mezza Sicilia finivano nella discarica secondo «ricette inventate sul momento da soggetti improvvisati». Che questo sia avvenuto anche per il polverino dell’Ilva è al vaglio degli investigatori del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri catanesi, che stanno proseguendo le indagini nel massimo riserbo.

Sotto la loro attenzione ci sono anche le autorizzazioni. La prima Valutazione d’impatto ambientale, data alla Cisma nel 2008 dalla Regione, contiene una prescrizione precisa: il divieto di conferire rifiuti da fuori la provincia di Siracusa. Le indagini certificano che proprio attorno a questo limite, oltre che sull’ampliamento dell’impianto, si gioca una partita decisiva che spingerebbe i Paratore a mettere a libro paga diversi funzionari regionali, allo scopo di ottenere nuove e più permissive concessioni. Quando gli imprenditori trovano un ostacolo nei dirigenti Marco Lupo e Antonio Paletta si rivolgono alla procura di Siracusa. E quest’ultima nomina come consulente Mauro Verace, pure lui funzionario regionale, che secondo le indagini certifica il falso: e cioè che si poteva dare il via libera all’ampliamento.

Ma c’è di più. Perché alla fine il Tar di Catania incarica lo stesso Verace come commissario ad acta che risolve la spinosa vicenda, autorizzando il raddoppio di volumetria dell’impianto ed eliminando il vincolo del conferimento di rifiuti da fuori provincia. La firma è del 16 agosto del 2015. Fino ad allora, quindi, quel limite esiste. Com’è possibile, dunque, che quattro mesi prima, il 19 aprile del 2015, l’Ilva, commissariata dallo Stato, invii il primo carico di polverino alla Cisma? Gli investigatori per ora non rispondono a questa domanda, pur non escludendo che possano esistere «documenti autorizzativi di altro livello». E cioè governativo o ministeriale. Che al momento, però, non risultano agli atti dell’indagine. Secondo Antonio Annino, consigliere comunale di Melilli che da anni denuncia le irregolarità attorno alla Cisma, «l’Ilva è solo l’esempio più eclatante, perché da subito alla discarica sono stati portati rifiuti da tutta la Sicilia». Senza considerare che, già il 26 marzo del 2015, la Cisma viene colpita da un’interdittiva antimafia da parte della Prefettura di Siracusa. 

Giovedì mattina, all’indomani degli arresti, un gruppo di attivisti si è ritrovato fuori dai cancelli della discarica. «Ci prendevano per matti, per visionari e invece avevamo ragione. Il ministro Galletti si dovrebbe dimettere, perché ha provato a insabbiare questa vicenda, ma purtroppo per lui l’ha insabbiata malamente, perché ha sottovalutato la consapevolezza di noi abitanti e la capacità di fare rete con altri territori martoriati». Maria Leonardi, odontoiatra, è un fiume in piena. Insieme ad altre donne è in prima linea nella battaglia contro l’inquinamento. «Come fai a non incazzarti se vedi gente che muore, che non può avere figli, o che muore prematuramente per una malattia genetica? E com’è che in un territorio come questo non esistono statistiche ufficiali sui morti per tumori legati ad inquinamento? Alla Regione – conclude – sapevano benissimo di chi era la Cisma. Dov’erano Galletti e Crocetta quando, nell’aprile del 2015, protestavamo per l’arrivo del primo carico di polverino?».


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