Per la prima volta un istituto di credito viene commissariato. Le indagini della Finanza hanno portato alla luce una situazione in cui soggetti condannati per mafia operavano liberamente, anche grazie a complicità interne. Negli ultimi 20 anni al vertice si sono succeduti appartenenti al Grande oriente d'Italia
La banca di Paceco tra Cosa Nostra e massoni Parentele, soci scomodi e mutui mai corrisposti
Una banca a servizio di soggetti appartenenti e vicini alla mafia trapanese, liberi di contrarre mutui ed eseguire operazioni finanziarie nonostante le condanne. Grazie anche ad amici o parenti stretti all’interno dell’istituto, in alcuni casi anche in posizioni di vertice e di vigilanza. È questo il presunto scenario ricostruito dalla Guardia di finanza di Palermo che ha portato al commissariamento della banca di credito cooperativo Senatore Pietro Grammatico di Paceco. Primo caso in Italia di una banca in amministrazione giudiziaria. Secondo quanto dichiarato ai pm dal dipendente di una finanziaria, la banca «è diventata punto di riferimento di ambienti massonici e facoltosi. Sul territorio si ha la percezione che sia sempre tutelata, anche al momento delle ispezioni disposte dagli organismi di controllo».
Le Fiamme gialle del gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata sono partite da un nome: Filippo Coppola, condannato per associazione mafiosa, indicato come vicino ai boss Vincenzo Virga e Matteo Messina Denaro. Coppola è detto u prufissuri perché in passato è stato insegnante di Lettere e preside dell’istituto tecnico Giovanni Gentile di Trapani. Secondo gli inquirenti, Coppola «ha continuato a operare nel mercato usufruendo dei servizi della banca senza che questa, all’epoca già consapevole delle problematiche che rivestivano la sua persona, effettuasse alcuna segnalazione agli organi competenti». Sull’influenza di Coppola sulle attività della banca convergono anche le dichiarazioni del pentito Antonino Birrittella, ex presidente del Trapani calcio.
Filippo Coppola avrebbe avuto libertà di movimento alla banca di Paceco anche grazie al fratello Rocco, che all’interno dell’istituto ha ricoperto prima un incarico nell’ufficio fidi e rischi, e poi la direzione della filiale di Trapani. E sarebbe proprio sotto la sua gestione che, secondo quanto dichiarato da Paolo Ruggirello – dipendente della finanziaria A.C.R.A. e cugino dell’omonimo deputato del Pd -, quella filiale sarebbe diventata riferimento per ambienti massonici. Dai controlli effettuati dalla Finanza è emerso anche che gli ultimi tre direttori della banca – Pietro Paesano, Biagio Martorana e Antonio Mancuso – appartengono alla loggia massonica Grande oriente d’Italia. E massoni sono risultati pure altri due ex dipendenti e dodici soci.
A seguito delle verifiche dei militari, inoltre, su 1.600 soci sarebbero 357 quelli con precedenti penali. E di questi undici (Giuseppe Coppola, Paolo Cardella, Francesco Spezia, l’ex senatore Pietro Pizzo, Francesco Mineo, Pietro Leo, Antonino Morici, Giuseppe Nicosia, Giorlando Pugliese) sarebbero stati segnalati o condannati per reati di mafia. Cinque di questi hanno ottenuto mutui, mentre due – Francesco Mineo (che ha inviato questa richiesta di rettifica in merito a questo articolo) e Pietro Leo – hanno svolto l’attività di sindaco e componente del cda. Ruoli che spingono gli inquirenti a sottolineare come «le deficienze accertate degli ispettori della Banca d’Italia appaiono non il frutto di una mera negligenza, ma I’effetto di un programma volto ad agevolare determinati soggetti per il conseguimento di profitti illeciti».
Negli ultimi anni per due volte la Banca d’Italia, che ha ruolo di vigilanza sugli istituti di credito di tutta Italia, ha effettuato ispezioni alla banca di Paceco, e in entrambi i casi sono emerse pesanti criticità. Secondo l’ente, «gli organi amministrativi e di controllo non avevano mai assicurato il rispetto della normativa in materia di antiriciclaggio, favorendo una notevole permeabilità a eventuali operazioni illecite e comunque alla possibilità di erogare finanziamenti di varia natura senza un minimo esito dei rimborsi delle somme erogate di controllo». In sostanza si sarebbero stipulati mutui senza garanzie, esponendo l’istituto al rischio di danni economici.
Un esempio emblematico è la vicenda di Pietro Leo, ritenuto vicino al boss Virga e condannato con sentenza definitiva nel 2006 per associazione mafiosa. La sua contiguità alla criminalità organizzata, sottolinea la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, era verificabile «anche solo dalla consultazione di Google». Eppure la banca non solo «non ha eseguito alcuna segnalazione nei suoi confronti» ma, a fronte di un mutuo erogato di 237mila euro, avrebbe rimodulato il debito per una somma pari quasi alla metà: 135mila euro in dieci anni. «Impegno che – sottolinea ancora il Tribunale – non è stato nemmeno onorato da Leo». La figlia dell’uomo, Manuela Leo, è dipendente della banca e attualmente responsabile dell’area clienti della filiale di Paceco.
Nonostante i rilievi critici della Banca d’Italia, l’istituto trapanese non avrebbe messo in atto i cambiamenti sostanziali richiesti, scegliendo come nuovi vertici soggetti già indagati o che hanno gestito i rapporti bancari con la famiglia Coppola. Ecco perché il tribunale sostiene che esiste tuttora «il rischio di permeabilità ad opera di soggetti coinvolti in procedimenti di criminalità organizzata, i quali possono sfruttare I’assenza di efficaci controlli, se non forme di complicità interne, per conseguire non solo risorse economiche impiegabili nell’attività illecita, ma anche gli strumenti bancari necessari per operare nel mercato».