Flavia Famà è la figlia dell'avvocato ucciso dalla mafia il 9 novembre 1995 per avere fatto troppo bene il suo lavoro. A pochi giorni dall'anniversario della morte del padre, pubblichiamo la riflessione della giovane avvocata e attivista contro la criminalità organizzata. «Servono integrità morale, coraggio e onestà», scrive
Omicidio Famà, il pensiero della figlia sulla libertà «Il modo più concreto di fare memoria è l’impegno»
Sono passati 21 anni da quando mio padre non c’è più, barbaramente assassinato da mano mafiosa a pochi passi dal suo studio mentre stava tornando a casa. Quest’anno insieme alla Camera penale di Catania abbiamo deciso di ricordare la storia di mio padre parlando dei rischi della professione. L’avvocato, soprattutto se penalista, è a contatto con presunti criminali o con criminali accertati e deve fare in modo che la toga resti integra e immacolata. Servono integrità morale, coraggio e onestà per non lasciarsi invischiare in situazioni poco chiare.
L’avvocato è – e deve essere – come un meraviglioso fiore di loto che emerge pulito e profumato dalla melma fangosa senza che quest’ultima lo sporchi minimamente. Ma i rischi non provengono solo dal mondo sommerso della criminalità organizzata che può chiedere favori o provare a corrompere. Contro questi atteggiamenti, se si vive il mestiere come una missione, si dovrà combattere con forza. Altri rischi vengono da soggetti che dovrebbero garantire la Libertà e la Democrazia, ma che invece cercano di attuare regimi totalitari dove non vi è spazio per i diritti umani.
Don Luigi Ciotti ci insegna che la memoria e l’impegno sono fondamentali per cambiare la società ed è questo uno dei criteri principali con cui sono stati scelti i relatori della tavola rotonda che si è svolta in tribunale in occasione dell’anniversario dell’omicidio di mio padre. Due dei relatori scelti, Malek Adly, un collega egiziano, e Selçuk Kozağaçlı, un collega turco, non sono riusciti a partire perché nei loro Paesi sono state adottate delle misure restrittive della loro libertà senza alcun fondamento giuridico. Malek Adly era in procinto di imbarcarsi per l’Italia qualche giorno fa ma le autorità egiziane lo hanno fermato in aeroporto comunicandogli un divieto di espatrio. Selçuk Kozağaçlı ha comunicato che avrebbe tentato di imbarcarsi verso qualche isoletta per poi raggiungerci ma non sapeva se il suo passaporto sarebbe stato valido perché quotidianamente il governo turco annulla alcuni passaporti.
Con il presidente della Camera penale Enrico Trantino sapevamo di aver scelto un tema attuale, ma non ci eravamo resi conto di quanto lo fosse fino al momento in cui i colleghi ci hanno comunicato di non riuscire a lasciare il Paese. Quelle che sono delle libertà fondamentali che tutti noi diamo per scontate sono messe in discussione, rectius non sono garantite. A pochi passi dalla nostra terra, ad alcuni colleghi, per la sola ragione di essere difensori di quei diritti e di quelle libertà. Dopo l’introduzione di Enrico Trantino, presidente della Camera penale catanese, si sono succeduti gli interventi del collega Nicola Canestrini che ci ha illustrato la situazione degli avvocati minacciati nel mondo, e di Francesco Strano, con cui mio padre ha trascorso del tempo in studio e che ha ricordato quei momenti insieme.
Mi piacerebbe che ogni Camera penale adottasse la storia di un collega minacciato nell’esercizio della sua funzione e che ognuno di noi si interessasse di più di queste vicende perché il modo più concreto di fare memoria è impegnarsi accanto a chi oggi combatte per quegli stessi ideali di giustizia e libertà per i quali tanti, troppi, sono stati uccisi.