Lo scrittore ha incontrato gli appassionati alla Feltrinelli di via Cavour e tra foto e autografi parla della sua ultima fatica, La natura esposta. «Ho scritto il mio primo racconto a 11 anni. Da allora è nato in me un effetto di disgregazione: sono diventato numeroso. Mi sono tenuto compagnia con questa storia»
Erri De Luca racconta il suo ultimo libro «Scrivere non è lavoro, è tempo salvato»
Le sedie della Feltrinelli di Palermo non sono moltissime, ma la gente imperterrita continua ad arrivare. Si assiepa contro gli scaffali dedicati all’arte e alla fotografia. Paziente, aspetta. L’ospite arriva puntuale. «Questa è una storia che mi ha raccontato un mio amico scultore della Val Badia», dice subito Erri De Luca del suo ultimo libro edito da Feltrinelli. Si intitola La natura esposta e racconta di un uomo incaricato di un delicato restauro, quello di un crocifisso.
A complicare il lavoro, però, è la richiesta del prete di staccare un pannello che ne nasconde il basso ventre. «Non ci avevo mai pensato prima: le crocifissioni si facevano su corpi nudi – spiega De Luca – La nudità è un supplemento di tortura che si cancella se si mette un pannello, è un mitigare quel supplizio».
Ma questa è soprattutto la storia di un uomo che si avvicina a quel corpo. «Non lo deve solo scolpire, anche perché l’aveva già fatto un altro prima di lui – continua l’autore – Inizia a partecipare a quel corpo e a quella sofferenza». Per prima cosa, infatti, il protagonista lo tocca, scoprendone la pelle d’oca. «La prima sofferenza che quel corpo patisce è il freddo. È questa scoperta che innesca nel restauratore un sentimento religioso secondario: la compassione», dice De Luca.
Ma non basta. Le prime mosse del protagonista sono tutte rivolte a carpire i pensieri dello scultore, per mischiarli ai suoi. «Ha prestato il suo corpo al crocifisso – fa dire al protagonista – Questa deve essere stata la sua vertigine, imitarlo permettendosi l’intimità di scambiare il suo corpo con lui». La sala gremita della libreria rimane in silenzio. Esitanti sono le prime domande, che comunque restano poche. Si preferisce ascoltare il divagare dei racconti dello scrittore partenopeo.
«Mi sono tenuto compagnia scrivendo questa storia – dice – Per me questo non è un lavoro, ma il suo contrario, un contrappeso. È il tempo salvato». Lui che non scrive mai per più di un’ora al giorno e mai per dovere. Lui che è capace di blindarsi in se stesso e scrivere dappertutto. A chi chiede come sia diventato quello che è oggi, De Luca parla delle tante letture fatte nello stanzino dei libri di suo padre e dell’abitudine di affacciarsi alla finestra, alla scoperta dei racconti della gente.
«Ho scritto il mio primo racconto a 11 anni. Da allora – spiega – è nato in me un effetto di disgregazione: sono diventato numeroso, abitato da più visitatori che mi spodestano, e questo mi piace».