Nizza e Arena, i giovani rampolli uniti dagli affari Un tempo si sparavano coi kalashnikov dai balconi

Le armi sono rimaste riposte all’interno degli arsenali. Le nuove generazioni dei narcos etnei, ribaltando le storiche faide, preferiscono alleanze e affari ai colpi di kalashnikov. Da un lato ci sono i rampolli dello storico capomafia Giovanni Arena, Massimiliano e Maurizio, dall’altro c’è Andrea Nizza, il latitante che ha preso in mano il traffico di droga in città diventando una sorta di monopolista di cocaina e marijuana dopo i fratelli Daniele e Fabrizio. I legami tra i presunti nuovi vertici emerge dai racconti dei collaboratori di giustizia che hanno portato all’operazione Carthago della scorsa settimana. Le due fazioni, che gestiscono le piazze di spaccio in viale San Teodoro e viale Moncada nel quartiere di Librino, in passato erano state divise da profondi contrasti. Fino a spararsi dai balconi.

Una famiglia interamente dedicata ad armi e droga

Giovanni Arena, capostipite dell’omonimo clan di Librino, ha da sempre fatto dell’autonomia il suo punto di forza. Insieme alla numerosa famiglia – sei figli e due figlie -, interamente dedicata ad armi e droga. Quando viene arrestato, dopo una latitanza di 18 anni sempre nella stessa casa, è tra i trenta ricercati più pericolosi d’Italia. Nel suo pedigree si annoverano l’appartenenza al gruppo mafioso del quartiere Picanello e poi al clan Sciuto-Tigna nel 2007. Alleanza che viene spezzata davanti alle scarse premure del clan nei confronti della famiglia Arena. Tanto da costringere la moglie del boss, Loredana Agata Avitabile, ad andare a fare le pulizie per mantenersi. Lei che fino a quel momento era nota come la zarina del palazzo di cemento, tra le piazze di spaccio più grandi di Catania. Almeno fino al suo arresto.

Gli Arena non sono uomini d’onore, ma dalla loro avrebbero storicamente la forza economica e la disponibilità delle armi. Una dinastia legata alla piazza di spaccio gestita sotto casa, al viale San Teodoro. Prima da alcuni figli: Maurizio, arrestato per omicidio nel 1999Agatino Assunto, catturato nel 2011; Antonino, latitante per due anni; Massimilianoarrestato l’ultima volta il mese scorso;  e Alessio, arrestato nel 2009 nell’operazione Revenge. A loro succedono le sorelle: Agata e Lidia, arrestate nel 2012. In quel momento, gli unici Arena liberi sono i due rottweiler di casa. Quattro anni dopo, la saga arriva fino al figlio più piccolo di Giovanni Arena, Simone detto Luppino. Uno tra i protagonisti, secondo la recente operazione Carthago, dell’alleanza con il gruppo capeggiato dal latitante Andrea Nizza. 

Nel 2012 gli unici Arena liberi sono i due rottweiler

Un’unione non semplice quella delle due famiglie della droga a Librino. Da sempre rivali. Nel 2007, quando a reggere le fila c’era Fabrizio Nizza, oggi collaboratore di giustizia, vi sarebbe stato un aspro contrasto. Ma tutto cambia nel 2013, subito dopo la scarcerazione del fratello Andrea, oggi latitante. «Hanno ristabilito dei buoni rapporti anche facendo affari insieme», racconta il pentito Salvatore Cristaudo. Finanziando attività commerciali e forniture di droga. L’alleanza viene suggellata nel corso di una riunione al viale Moncada 10. Anche Simone Arena, una volta fuori dal carcere, nel 2014, «si mise a disposizione del nostro gruppo», aggiunge Davide Seminara, ex uomo di fiducia dei Nizza, poi collaboratore di giustizia.

L’inaspettata alleanza procede con l’autonomia degli Arena nel gestire la propria piazza di spaccio, spostata di pochi metri rispetto al passato: dal palazzo di cemento alle torri di fronte. L’erba e la cocaina vengono comunque rifornite dai Nizza: «Con mille chili abbiamo rifornito tutti i gruppi di Catania – racconta il pentito Fabrizio Nizza – Acquistavamo a credito a mille euro al chilo e rivendevamo a 2500 euro al chilo». Un solo contrasto nasce quando gli Arena decidono di aprire una piazza di spaccio in viale Bummacaro, troppo vicina a quella di Agatino Cristaudo, in quota Nizza. Ad andare a risolvere la questione con il gestore è proprio Fabrizio Nizza, che racconta: «Mi recai con tre pistole e lo pestammo a sangue». E così la piazza fu chiusa.


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