La situazione ormai critica del call center Qé di Paternò ha portato in piazza circa 600 dipendenti della ditta bresciana. I manifestanti hanno chiesto un incontro con il prefetto. A rischio il posto di lavoro sia per i contratti a progetto che per coloro che hanno il tempo indeterminato.
Paternò, in corteo i dipendenti del call center Qé «Fallimento potrebbe essere una vera catastrofe»
Stanchi di promesse non mantenute dalla proprietà bresciana, stipendi arretrati, incertezza sulla continuità lavorativa e della situazione della società – indebitata per oltre sei milioni e mezzo – circa 600 lavoratori del call center Qé hanno incrociato questa mattina le braccia aderendo allo sciopero proclamato dalla Slc Cgil e dalla Fistel Cisl di Catania. Tra questi sono 274 i dipendenti assunti a tempo indeterminato e oltre 300 quelli per i quali è stata prevista la formula del contratto a progetto. Entrambe le categorie a breve potrebbero ritrovarsi a casa senza un lavoro.
Radunati in piazza Indipendenza i i lavoratori hanno sfilato in un corteo che si è snodato lungo il centro storico sino a concludersi in piazza Umberto, a Palazzo Alessi nella sede del Consiglio comunale dove i manifestanti sono stati ricevuti dal vice presidente Nino Calabrò e dal sindaco Mauro Mangano; alla marcia hanno partecipato anche molti consiglieri comunali come gesto di solidarietà. «Se dovesse verificarsi un fallimento dell’azienda sarebbe una catastrofe» ha esordito Antonio D’Amico segretario generale Fistel Cisl.
«Tuttavia – continua il sindacalista – in caso di default, chi curerà il fallimento garantirà l’attività lavorativa. Sei milioni e mezzo di debiti sono davvero troppi, eppure le commesse pagano ogni mese, tranne Inps e Inail; i committenti – ha proseguito D’Amico – non hanno mostrato alcuna intenzione di allontanarsi dal sito di Paternò per la presenza di un ottimo servizio e di grandi lavoratori. Abbiamo paura che la proprietà voglia andare via da questa zona».
Sulla stessa lunghezza d’onda Gianluca Patanè della Slc Cgil: «Sono in pericolo 600 posti di lavoro e quindi il pane di 600 famiglie. Siamo dinanzi ad un’azienda sorda e latitante; da due mesi non vengono pagati gli stipendi, ma SKY, Enel, Wind e Transcom pagano regolarmente. L’Inps ha pagato una fattura da 700 mila euro; quindi – prosegue Patanè – dovrebbero essere pagati i due stipendi arretrati. Chiediamo l’apertura di un tavolo di crisi con l’intervento del prefetto. Nel bilancio del 2015 c’erano debiti di qualche centinaio di miglia di euro: vogliamo capire da dove vengono».
Per Valentina Borzì rsu Cgil è «a rischio il nostro posto di lavoro. Purtroppo nella realtà paternese se dovessimo perdere questo lavoro non esiste altro; da circa 10 anni abbiamo investito su questo.Ci sono colleghi che hanno mutui, finanziarie. Il silenzio della proprietà ci sta davvero preoccupando». Anche per Maria Di Guardo dipendente call center e madre di tre figli «questo lavoro rappresenta tutto». Milena Arcidicono, sposata da due mesi con un collega vive questa situazione come un dramma perché non abbiamo altro, e abbiamo fatto anche un mutuo; ci aspettiamo chiarezza sul presente e sull’immediato futuro occupazionale».
Preoccupato Nino Calabro, vicepresidente del Consiglio Comunale: «Non riesco a capire tutto questo debito; non voglio entrare nel merito, ma a noi interessa che quanto meno vengano date le spettanze arretrate; vogliamo comprendere le intenzioni della proprietà. Se quest’ultima volesse vendere ci potremmo esporre come istituzioni per trovare altri imprenditori per rilevare l’azienda». Ha le idee ben chiare il sindaco Mangano: «Vogliamo portare la questione all’attenzione del prefetto, aprire un tavolo di crisi, in modo tale che l’azienda esca allo scoperto non inviando messaggi ambigui. I vertici devono dire la verità. Se non sono in grado di andare avanti ci attiveremo per trovare le risorse affinché i dipendenti non perdano il lavoro».