Gli attivisti della rete catanese attaccano la decisione di non utilizzare le banchine civile della darsena di Augusta, per l'approdo del relitto nel quale viaggiavano le 800 persone morte ad aprile 2015. Molti corpi sono imprigionati nell'imbarcazione. «Vogliono nascondere la realtà delle stragi», dicono
Naufragio, Rete antirazzista su operazioni recupero «Scelto pontile Nato, anche i lutti sono militarizzati»
Polemica sulle operazioni di recupero dei migranti morti nel naufragio del peschereccio, sul quale viaggiavano oltre 800 persone. La Rete antirazzista catanese ha diffuso una nota in cui dichiara che in Sicilia «nemmeno i lutti sono risparmiati alla militarizzazione». Il riferimento va alla decisione di utilizzare il pontile Nato di Melilli per le operazioni. Una scelta non condivisa, in quanto, a detta della Rete, «si sarebbero potute impiegare le banchine civili della darsena di Augusta, ma si è scelto di tenere a debita distanza i cittadini nascondendo il peschereccio».
Per gli attivisti, è stata tolta la possibilità alla cittadinanza di manifestare cordoglio in una giornata in cui «i colori della solidarietà avrebbero potuto illuminare» la comunità della provincia più inquinata d’Italia. La Rete, infatti, sottolinea come l’approdo del relitto e il recupero delle salme avverrà «a pochi passi dai depositi di combustibili per le navi da guerra di punta Cugno» nonché vicino al polo petrolchimico e non distante dalle «armi chimiche di Cava Sorciaro».
Per la Rete antirazzista, effettuare l’iter di recupero lontano da occhi indiscreti sarebbe finalizzato a mantenere bassa l’attenzione sulla «drammatica realtà delle stragi del Mediterraneo». E questo nonostante il naufragio del 18 aprile 2015 sia soltanto uno dei tanti casi di traversate della morte. A essere criticata è anche la militarizzazione dell’Isola. «Le coste sono sempre più militarizzate da navi da guerra Usa-Nato e dalla flotta di Frontex, occupata a blindare i confini e a respingere i migranti, che sopravvivono ai naufragi», si legge nel comunicato.
Respingimento che stavolta, secondo gli attivisti, sarebbe toccato anche a tutte le persone che si sentono vicini alle cause dei migranti. «Si è preferito sollevare ancora un muro, fisico e ideologico, per tenere lontani gli augustani dalla vista di qualcosa che, magari, avrebbe potuto smuovere le loro coscienze, animare e interrogare collettivamente – continuano -. Meglio allora nascondere, non far vedere né sentire, vietando l’accesso persino ai giornalisti. Meglio confinare i migranti, non solo da vivi ma anche da morti, lontano dalle città».
Infine, l’invito per la cittadinanza è quello a non limitarsi alla rappresentazione mediatica della realtà. «Basterà affacciarsi alle finestre per rendersene conto: quel barcone verrà scortato appena sull’altra sponda del porto, proprio in mezzo ai pontili contesi dal “quartierino” di speculatori su cui indaga la magistratura lucana», concludono gli attivisti facendo riferimento all’inchiesta della procura di Potenza sul petrolio. Indagine che ha nel porto di Augusta uno dei filoni principali.