‘In Italia il cinema non è considerato cultura’

Invitato dal prof. Sebastiano Gesù, con la partecipazione del prof. Fernando Gioviale e della professoressa Agata Sciacca, il regista Emidio Greco ha accettato di commentare con gli studenti di storia e critica del cinema il suo ultimo lavoro, “L’uomo privato”. Greco, diplomato al Centro sperimentale di cinematografia, oltre ad essere regista di professione, si occupa anche delle problematiche del cinema italiano, essendo membro dell’Associazione del Cinema Italiano, della SIAE e della commissione per l’assegnazione del David di Donatello.

 

“L’uomo privato” del film è un professore universitario che persegue il suo personale culto dell’individualismo: cerca in tutti i modi di preservare la sua intimità, vive per se stesso ed è convinto di poter lasciare la realtà – una realtà che lo disgusta – fuori dalla sua vita. Ma l’improvviso suicidio di uno studente ossessionato dalla sua figura, che lo spiava e stava realizzando un documentario su di lui, provocherà una massiccia intrusione nella sua vita privata da parte di molte persone. E’ il fallimento del suo ambizioso progetto. «Il protagonista è ossessionato dall’idea di rimanere invisibile. C’è una scena in cui sogna di alzarsi da una sedia e tutti lo stanno osservando. Proprio lui che vorrebbe scomparire, è sempre guardato dagli altri».

 

L’analisi del personaggio che il film realizza sembrerebbe psicologica ad un livello individuale, o sociologica, nel rapporto dell’uomo privato con la società che lo circonda. Ma il regista nega qualunque scienza messa in correlazione con il suo cinema. «Detesto la psicologia o la sociologia nel cinema. Il cinema sociologico mi annoia. Si presenta con la funzione di smuovere le coscienze ma in realtà non ci riesce. I registi non riproducono il vero ma il verosimile. Il cinema è un’arte e in quanto tale non deve riprodurre la realtà, perché ci pensa già la televisione. Il mio film può sorprendere per l’impopolarità dei temi, dell’ambiente, del ceto sociale che mostra. Il cinema italiano di oggi è concentrato sui problemi degli adolescenti e un film del genere trova difficoltà nel mercato cinematografico. Ma ognuno fa il cinema che gli piace».

 

E l’autobiografia? Il regista non la rinnega del tutto, ma parla di un’autobiografia “fantasticata”, in cui il personaggio assomiglia al regista ma ha anche qualcosa in più, che il regista vorrebbe avere e non ha. Poi si cerca di indirizzare il personaggio verso un suo percorso. Alla domanda se, per le sue scelte etiche, si senta o meno un regista impopolare, Greco risponde: «La struttura narrativa non è rivoluzionaria ma inusuale. Non si può sempre legare la narrazione a meccanismi di causa–effetto. I dialoghi possono spiazzare il pubblico abituato ad essere accompagnato per mano nella storia, cogliendolo di sorpresa. Ma l’intento è di solleticare l’intelligenza, lasciare all’immaginazione quello che è fuori dal campo cinematografico».

 

Infine, lo scarso successo commerciale del film viene spiegato con un ritratto del cinema italiano contemporaneo poco rassicurante. «Nel 1957, verso la fine della nouvelle vague, nasce in Francia la definizione di “cinema d’autore”, ad opera di Truffaut. A partire da quel momento in Europa, dunque anche in Italia, il cinema o è d’autore o non lo è. Poi, dalla seconda metà degli anni ’70, inizia un processo di desertificazione del cinema italiano. Noi registi cerchiamo di sensibilizzare i politici ai problemi dell’audiovisivo made in Italy. Ma si continua a privilegiare la televisione. E la situazione cambia a seconda dei governi. In Francia, ad esempio, il cinema viene valorizzato moltissimo e la distribuzione è meno costosa. Il successo di un film dipende anche dalla distribuzione. In USA il cinema è il secondo prodotto d’esportazione. È uno dei motori dell’economia. In Italia, invece, non viene neppure considerato prodotto culturale».


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