«Come pensi di riuscire a ottenere lo status di rifugiato se sei un talebano?». Così un connazionale si rivolgeva al telefono a Muhammad Bilal, pakistano arrivato in Sicilia nel gennaio del 2014 su un barcone. Ospite dei centri di accoglienza di Siracusa e Piazza Armerina, è stato arrestato a Mantova
Enna, 25enne accusato di terrorismo Tra attività sui social e viaggi sospetti
Immagini inneggianti alla jihad, la guerra santa, e alla violenza. Post di approvazione dopo la strage di Parigi al giornale Charlie Hebdo, intercettazioni gravi a suo carico. Sarebbero gli elementi che hanno portato la Dda di Caltanissetta a ordinare l’arresto di Muhammad Bilal, un pakistano di 25 anni, che è stato fermato a Mantova. Il giovane è arrivato in Sicilia nel gennaio del 2014 su un barcone proveniente dalla Libia ed è rimasto nell’Isola per diverso tempo, prima in un centro di Siracusa, poi alla Città del sole di Piazza Armerina. L’uomo è accusato di associazione a delinquere con finalità di terrorismo. E gli investigatori stanno provando a ricostruire i contatti che ha avuto nei viaggi fatti in diverse regioni d’Italia.
Ad arrestarlo sono stati gli uomini della Digos di Enna, coordinati dal servizio centrale antiterrorismo della polizia e dalla Procura di Caltanissetta. Perquisizioni sono state eseguite nelle province di Mantova, Enna, Prato, Milano e Como. Bilal è considerato parte di un’organizzazione terroristica anticristiana e antisciita. In un’intercettazione un connazionale che vive in Pakistan gli diceva: «Ma come pensi di riuscire a ottenere lo status di rifugiato se sei un talebano?». In efetti la commissione immigrazione della Prefettura di Enna lo scorso 17 agosto gli ha negato lo status di rifugiato, ma il 25enne ha presentato ricorso.
L’attenzione degli inquirenti si sposta su Bilal all’indomani di una protesta avvenuta il 14 ottobre del 2014 nel centro di prima accoglienza di Piazza Armerina, dove era stato trasferito a giugno dello stesso anno. Anche in altre occasioni il 25enne si è reso protagonista di proteste e ha manifestato insofferenza verso le forze dell’ordine. A suo nome erano intestate sei schede telefoniche, tutte però in uso ad altre persone. Quella, invece, utilizzata da Bilal sarebbe stata intestata a un’altra persona. Ma a destare preoccupazione è stata soprattutto la sua attività su Facebook. Una delle foto diffuse attraverso il social network ritrae una bottiglia di coca cola, considerata uno dei simboli della cultura occidentale, sormontata da un proiettile e recante il messaggio: «Chi acquista questi prodotti contribuisce all’uccisione di molti palestinesi». In un altro post scriveva: «Cerca di interessarti al martirio, la jihad andrà avanti fino alla fine». Sul suo profilo Facebook, Bilal affermava di appartenere al gruppo pakistano Sipah-e-Sahaba Pakistan, nata come partito politico negli anni ’80, e inserita tra le organizzazione terroristiche. I suoi post, tra cui alcuni di approvazione per l’attentato al giornale satirico francese Charlie Hebdo, riscuotevano moltissimi like. La Digos sottolinea inoltre che il giovane avrebbe avuto un ruolo da leader nella comunità pakistana di Piazza Armerina.
Gli investigatori hanno ricostruito i viaggi fatti dal 25enne in autobus nel resto d’Italia e adesso stanno provando a individuare eventuali contatti a rischio. Nell’ambito della stessa operazione antiterrorismo risultano indagati altri due extracomunitari. Bilal, inoltre, sarebbe stato pronto a partire per il Canada dove aveva contatti con suoi connazionali. Tuttavia nel corso della conferenza stampa in cui sono stati illustrati i particolari dell’inchiesta, il procuratore capo facente funzioni di Caltanissetta Lia Sava e il questore di Enna Ferdinando Guarino hanno escluso l’eventualità che fosse in grado di organizzare attentati terroristici in Italia.